Qualche giorno fa ho pubblicato un annuncio di lavoro che ha ricevuto qualche risposta e una, fondamentale, domanda: “che cosa significa quanto pensate di valere?” Chi me lo ha chiesto, di fatto, ha pensato che fosse un modo un po’ creativo per dire: “cercasi giovani consapevoli del fatto di non valere nulla dal punto di vista del lavoro perché non hanno esperienza e che accettino quindi di essere pagati nulla o poco”.
Non è così e vale sicuramente la pena fornire qualche indicazione in più, perché mi rendo conto che l’approccio può apparire fuorviante. Recentemente ho letto una bella autobiografia di Ricardo Semler (Senza gerarchie al lavoro), che racconta come l’imprenditore brasiliano abbia stravolto molte pratiche manageriali consolidate, partendo da un assunto molto semplice e basato sul buon senso: le persone che lavorano per me sono responsabili, hanno delle famiglie e partecipano alla vita civile, non ha senso che io li tratti come degli idioti controllando tutto quello che fanno.
In un processo durato diversi anni, Semler è riuscito ad applicare questo principio in modo molto esteso alla sua azienda, responsabilizzando sempre di più i propri collaboratori ed eliminando molti livelli della gerarchia aziendale. D’altro canto, se una persona non ha bisogno di essere controllata e comandata, gran parte di quadri e dirigenti servono a poco. E badate bene, non si tratta di una società di consulenza manageriale, ma di un’impresa che produce macchinari per biscottifici, impianti industriali di raffreddamento e così di seguito.
In uno dei passaggi più interessanti del libro, Semler pensa che i dipendenti possano decidere il proprio stipendio e, per fare un esperimento, invita la propria segretaria a determinare il suo compenso per l’anno successivo chiedendole: “Quanto ti serve per sentirti ricompensata in modo adeguato, tanto da non volere cercare un altro lavoro?” Dopo qualche giorno la segretaria ritorna dal capo e gli chiede uno stipendio solo lievemente superiore a quello che percepiva al momento.
Io sono d’accordo con Semler: tutti noi siamo in grado di rispondere alla domanda “quanto vali”, o meglio “quanto vuoi guadagnare”, in modo pragmatico e ragionevole. Dal mio punto di vista la questione dipende essenzialmente da tre fattori:
- quanto mi serve per essere ragionevolmente soddisfatto economicamente (quindi non per essere felice come se aveste vinto al superenalotto ;-))
- quanto viene valutato dal mercato quello che so fare: per determinarlo, basta chiedere in giro alle persone che secondo voi hanno più o meno la vostra esperienza e che fanno un lavoro analogo a quello cui aspirate. Senza considerare, che da qualche parte su Internet ci saranno tabelle e confronti di ogni genere.
- quanto ritengo utile o importante per la mia formazione o per la mia carriera andare a lavorare per una certa azienda o in un certo contesto.
A questo punto, qualcuno tra di voi si sta chiedendo: ma perché questo qui la fa tanto complicata e non mi dice che è disposto a offrire una certa cifra? Per tre motivi molto semplici:
- perché il risultato non cambia: se l’offerta del datore di lavoro è troppo bassa potrebbe essere accettata solo per convenienza momentanea; invece, se la richieste è considerata esosa sarà accolta solo per colmare una necessità momentanea. In entrambi i casi è un fidanzamento non destinato a durare perché non è molto vantaggioso (almeno dal punto di vista strettamente economico) per nessuno dei due;
- perché io credo che le persone che lavorano con me si devono assumere la responsabilità delle proprie scelte e non vedo come possano farlo se non sono in grado neanche di determinare in modo ragionevole quale dovrebbe essere il proprio compenso;
- perché cerco delle persone intelligenti, che accettano le sfide e il confronto e sono pronte a sostenere la propria posizione. Elastic è una struttura piccola piccola: il feeling è un aspetto fondamentale. Noi non possiamo offrire le sicurezze, i percorsi e l’inerzia delle grandi aziende, quelle dove ti siedi comodo comodo e sposti un pezzo di carta ogni tanto. Dobbiamo essere ragionevolmente sicuri che chi lavora con noi si faccia parte diligente del proprio lavoro, sia in grado di sbrigarsela da solo, trovi soluzioni brillanti a problemi difficili, si impegni per far crescere i clienti, sia disposto a fare economie se e quando sarà necessario.
Vi sembra troppo arzigogolato? Beh, nessuno pretende che sia semplice, ma se pensate che sia troppo complicato o che vi siano dei tranelli, allora vuol dire che non ci dobbiamo fidanzare. E così sia 🙂
P.s. Ho ricevuto email da parte di persone che hanno ben oltre i requisiti professionali che io immagino: persone con esperienza e curricula di tutto rispetto. Ne sono molto lusingato: a molti non ho ancora risposto, non certo per mancanza di interesse, ma perché voglio essere sicuro di dare delle risposte sensate. Grazie 🙂
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