L’intergruppo parlamentare 2.0 raccoglie 34 tra deputati e senatori di Pd, Pdl, Udc, Idv e Radicali (secondo la lista aggiornata al 21 dicembre 2009) che hanno una particolare attenzione verso i temi di Internet. L’obiettivo è “promuovere un confronto tra politica, imprese e cittadini sul Web 2.0 ed i suoi strumenti, al fine di sfruttarne al meglio le opportunità per l’intero sistema Italia in termini di sviluppo economico, culturale e democratico: prima di legiferare bisogna capire e dialogare.”
L’iniziativa è stata applaudita e seguita con grande interesse da chi, come il sottoscritto, vede negli spazi digitali una grande opportunità di partecipazione alla cosa pubblica. Tuttavia, nel momento in cui l’intergruppo va oltre l’iniziativa di studio, approfondimento ed evangelizzazione e si di candida a rappresentare precise istanze ponendosi come interlocutore del Governo (Alcuni membri dell’Intergruppo avviano il dialogo con il Ministro Maroni), è necessario affrontare alcune questioni.
1. Chi promuove il gruppo?
L’intergruppo parlamentare 2.0 non è un’aggregazione spontanea di alcuni parlamentari. Come racconta Roberto Paglialonga della società Reti si tratta invece di un’iniziativa orchestrata da una società di lobby, che si presenta così:
Compito di Reti e dei suoi consulenti è assistere gli interessi dati e portare il loro caso all’attenzione dei decisori politici e dei regolatori in modo corretto ed efficace.
Il video è stato registrato a luglio nel corso di una convention aziendale e vale la pena di essere guardato per due motivi: 1) si dice chiaramente che Reti ha un ruolo cruciale nel funzionamento dell’intergruppo; 2) si lamenta il fatto che l’interesse dei deputati che partecipano all’iniziativa non è poi così elevato e che, al contrario, essi rimangono piuttosto passivi.
2. Chi finanzia le attività del gruppo?
Le società di lobby rappresentano gli interessi dei propri clienti e raramente ne rendono pubblici i nomi. Tuttavia, il 17 dicembre, Milano Finanza ha messo online un take di Dow Jones che riferisce di un’iniziativa di Google in cui si legge:
E’ questo il contenuto di una lettera inviata dai consulenti di Google a tutti i deputati italiani dopo l’ordinanza di ieri del Tribunale di Roma. Google, tra l’altro, secondo quanto si apprende, attraverso una società di relazioni istituzionali finanzia le attività del cosiddetto gruppo parlamentare 2.0 di cui fanno parte molti parlamentari.
In altri termini, l’attività di lobby che Reti svolge tramite l’Intergruppo parlamentare 2.0 serve a rappresentare gli interessi di Google. In sé non ci sarebbe nulla di male perché la rappresentanza degli interessi è legittima, ma deve essere fatta in modo trasparente. E non sembra questo il caso!
3. Chi detta l’agenda e come vengono determinate le posizioni del gruppo?
Oltre che essere il frutto dell’iniziativa di una società di lobby, l’intergruppo parlamentare 2.0 raccoglie parlamentari che hanno posizioni molto diverse tra loro: a me, per esempio, risulta difficile immaginare che Luca Barbareschi (Pdl) possa avere qualcosa in comune con Vincenzo Vita e Paola Concia (Pd).
In questo contesto è legittimo chiedersi chi detta l’agenda, chi definisce quali sono i temi da trattare e quali posizione adottare. E’ una questione di fondamentale importanza se l’obiettivo è incidere sull’attività legislativa che riguarda Internet. Infatti, è evidente che un gruppo di parlamentari di tutti gli schieramenti che assume una posizione comune esprime una rappresentatività e un significato assai diverso di un insieme eterogeneo di deputati e senatori che agiscono singolarmente e sull’impulso di un abile lobbista che usa l’etichetta dell’intergruppo come cappello istituzionale per rappresentare gli interessi di un’azienda.
4. C’è un’alternativa? La mia proposta
E’ necessario che i parlamentari italiani si occupino consapevolmente dello spazio pubblico digitale creato da Internet nell’interesse dei cittadini che essi rappresentano. In questo contesto, desidero avanzare una proposta con l’obiettivo di eliminare gli elementi che oggi di fatto ne fanno un interlocutore con troppi punti interrogativi.
- E’ necessario delimitare gli obiettivi che oggi sono posti in termini troppo vaghi e troppo ampi. Una cosa è un gruppo di parlamentari che si occupa di alfabetizzare i propri colleghi; un’altra un gruppo che si occupa di copyright e net neutrality.
- E’ opportuno definire un metodo e questo è particolarmente importante se l’obiettivo è produrre dei documenti con analisi e proposte di regole.
- E’ giusto che l’intergruppo sia finanziato perché questo permette di dare continuità all’attività, ma i finanziamenti devono essere chiari e trasparenti. Deve trattarsi di soldi conferiti a un’associazione senza fini di lucro e non a una società di lobby che mantiene una segreteria per conto di un’azienda privata.
- La rappresentanza degli interessi delle aziende è sacrosanta, ma deve avvenire in modo trasparente attraverso position paper delle stesse aziende e audizioni pubbliche.
- I parlamentari che aderiscono al gruppo devono garantire la propria partecipazione attiva e devono essere disponibili a seguire a seminari di formazione: non basta mettere il nome in una lista, occorre dimostrare di conoscere. Lo spazio pubblico digitale è una cosa seria e un parlamentare ha il dovere di cercare di capire come funziona guardando a esso non in termini di convergenza tecnologica, ma di fenomeno sociale.
Mi piacerebbe che questo post avviasse una discussione aperta e trasparente, da cui nasca una proposta concreta da sottoporre ai parlamentari dell’intergruppo. Aggiungete i vostri commenti e ampliate la discussione nei vostri blog: cercherò di tirare le fila del discorso 🙂