Venerdì 22, un Noto Quotidiano denuncia in homepage con grande evidenza che l’ufficio stampa di una Grande Azienda italiana avrebbe comunicato alla redazione la cancellazione della pubblicità dalla testata a causa di un articolo critico. La cosa non mi piace e la trovo grave soprattutto per le modalità: secondo la redazione, infatti, un relatore pubblico di un’azienda avrebbe scritto a un giornale comunicando una ritorsione. Un comportamento profondamente contrario alla deontologia professionale.
Per questo motivo, decido di scrivere ai soci della Ferpi (Federazione delle relazioni pubbliche italiana) una lettera aperta e la faccio circolare in anteprima tra qualche amico associato prima di chiederne la pubblicazione sul sito dell’associazione. Ieri mattina uno di loro mi chiama per farmi presente che il quotidiano ha pubblicato una smentita a firma del direttore della comunicazione dell’azienda. Bene, mi fa piacere: ritengo che sia un atto doveroso, anche se si tratta di una smentita parziale (si dice solo che non è vero che l’azienda ha cancellato la pianificazione pubblicitaria e che comunque l’ufficio stampa non avrebbe il potere di farlo).
Parlo genericamente di Grande Azienda e Noto Quotidiano perché non è importante in questa sede entrare in questo dettaglio: molte grandi aziende hanno questo atteggiamento nei confronti delle testate giornalistiche, anche se generalmente questo tipo di ritorsione viene fatto in silenzio o – se proprio il relatore pubblico in questione vuole fare un po’ il gradasso – per telefono.
La cosa che mi interessa notare invece è che quando si sollevano questioni di principio, la prima reazione che si suscita è: ma chi te lo fa fare a metterti contro l’Uomo Potente di turno? L’unico risultato che otterrai è fartelo nemico e apparire come un moralista e un rompipalle. A questo punto partono automaticamente le azioni di dissuasione e di neutralizzazione.
Nel momento in cui si sostengono con decisione delle opinioni ci si schiera, si dice dove si ritiene che stia il bene, in che direzione si dovrebbe andare. Fin tanto che si rimane sul piano delle aspirazioni ideali, va tutto bene. Quando si richiede coerenza tra idee e comportamenti, cominciano i distinguo, le sfumature; mi sono trovato spesso a farli anche io cercando di fissare in modo coerente il confine tra ciò che è lecito per me e ciò che non lo è.
Questa era la lettera ai soci della Ferpi: la pubblico solo nel mio blog come elemento di riflessione. La nota ufficiale della Grande Azienda ha neutralizzato gran parte del senso della mia iniziativa e comunque mi rendo perfettamente conto che la maggior parte dei miei colleghi comunicatori questi problemi proprio non se li pone. Anzi, a volte ho l’impressione che provino un certo godimento a fare i persuasori occulti.
Cari soci Ferpi,
il Noto Quotidiano denuncia che la Grande Azienda ha cancellato la pubblicità dalla testata a causa di un articolo critico sull’azienda:
La Grande Azienda non acquisterà più spazi pubblicitari sul Noto Quotidiano. È la ritorsione per un articolo sgradito. Ce lo ha fatto sapere per iscritto l’Ufficio Stampa dell’Ente.
Ne prendiamo atto. Grazie a vendite e abbonamenti, non dipendiamo dalla benevolenza dei signori della pubblicità. Non scriviamo sotto dettatura.
Preoccupa che la pubblicità non serva a promuovere un prodotto, ma ad addomesticare l’informazione. Troppi giornali, grandi e piccoli, sono tenuti in soggezione dagli investimenti pubblicitari. Troppi giornalisti scrivono con il timore di provocare un danno economico che l’editore non perdonerebbe.Non si tratta di una generica illazione, ma di un’accusa circostanziata: poiché il giornalista ha scritto qualcosa che l’azienda non ha apprezzato, il relatore pubblico gli ha comunicato per iscritto che l’azienda non farà più pubblicità sulla testata. Il che equivarrebbe a dire che la Grande Azienda è disposta a investire in advertising solo su giornali, televisioni e radio che parlano bene di lei.
E’ del tutto evidente che non si può obbligare un’impresa ad acquistare la pubblicità su una testata piuttosto che sull’altra. Tuttavia, il meccanismo ricattatorio che emergerebbe se venisse confermato che esiste una comunicazione scritta dell’ufficio stampa della Grande Azienda con cui si cancella la pianificazione pubblicitaria sarebbe oggettivamente inaccettabile, anche per il valore intimidatorio nei confronti dei giornalisti di altre testate. Chi di loro si azzarderebbe a essere critico nei confronti di un’azienda che mette per iscritto che il rapporto commerciale con l’editore è subordinato all’abdicazione della deontologia professionale del giornalista?
Già immagino le risposte di molti colleghi, soprattutto di quelli più smaliziati: «è così che vanno le cose». Beh, se così fosse, a maggior ragione varrebbe la pena discuterne, nell’interesse della nostra associazione, che ha sempre sottolineato l’importanza di un comportamento etico come tratto distintivo e dovere inderogabile del professionista di relazioni pubbliche.
Tante belle cose a tutti 🙂
Nicola Mattina