Stanotte è partito l’appello per l’agenda digitale, che invita i politici italiani a costruire una strategia unitaria per mettere il digitale al centro dell’agenda politica italiana:
La politica ha posto la strategia digitale al centro del dibattito in tutte le principali economie del mondo. Ma non in Italia. […]
Siamo convinti che affrontare con incisività questo ritardo, eliminare i digital divide, sviluppare la cultura digitale con l’obiettivo di conquistare la leadership nello sviluppo ed applicazione delle potenzialità di Internet e delle tecnologie, costituisca la principale opportunità di sviluppo, con benefici economici e sociali per l’intero Paese. […]
Ci rivolgiamo a tutte le forze politiche, nessuna esclusa, sollecitando il loro impegno a porre concretamente questo tema al centro del dibattito politico nazionale.
Ovviamente l’ho sottoscritto subito e vi invito a fare altrettanto.
Contestualmente al lancio dell’iniziativa si è scatenata una duplice polemica su Friendfeed. Da un lato, c’è chi non ha gradito il teaser online con messaggi su Twitter e Facebook fino al video wanna-be-viral in cui i firmatari si chiedevano dove fosse l’agenda e chi l’avesse persa. Dall’altro lato, alcuni hanno iniziato a contestare la credibilità di certi nomi nella lista dei firmatari e la loro rappresentatività. Ovviamente c’è spazio per tutte le opinioni. Io metto nel piatto i miei due cent proponendo alcune riflessioni.
Il lancio non è stato dei più felici. L’argomento è serio e di nicchia, perché trattarlo come un prodotto da supermercato con tanto di video virale? Di fatto il teasing è stato controproducente e più sobrietà avrebbe solamente giovato al progetto.
L’ottimo Mantellini (uno dei promotori del progetto) si lamenta nel blog su Telecom Italia Hub – con tono un po’ bondiano a dire il vero – del fatto che «fra gli early adopters e gli utenti/imprenditori che utilizzano Internet con maggior continuintà prevale una presunzione di colpevolezza altrui in grado di avvelenare qualsiasi iniziativa». Mi permetto di proporgli un altro punto di vista: gli «early adopters e gli utenti/imprenditori» sono stakeholder del progetto e ogni gruppo di interlocutori di un’iniziativa ha delle regole di ingaggio diverse. Al netto degli spiriti polemici (che ci sono sempre e fanno parte del folklore della Rete), l’approccio verso questo questo gruppo avrebbe potuto essere diverso: per esempio, datagov.it è partito con una deliberazione che ha coinvolto gli esperti nella stesura di un documento.
Dov’è l’agenda? C’è un’esortazione a farla, ma perché le persone che hanno preparato l’appello non si sono prese la briga di mettere insieme qualche proposta più articolata da discutere? Davvero si pensa che questi politici siano in grado di elaborare un progetto organico di agenda digitale? I temi proposti mi sembrano troppo generici e posti in un’ottica troppo bipartisan in coda a una pagina con gli approfondimenti (in cui si citano molte fonti, ma non si mette neanche un link). Personalmente, invece di infrastrutture tecnologiche, servizi, alfabetizzazione e regolamentazione avrei scritto con un po’ più di coraggio: scorporo della rete, net neutrality e open government.
Ad ogni modo, pur con qualche cosa da mettere a punto, portare nella discussione pubblica l’agenda digitale al posto dell’agendina di Ruby è un’iniziativa da applauidire, anche per il fatto che i firmatari dell’appello si sono messi le mani in tasca e hanno pagato il costo di una pagina pubblicitaria sul Corriere della Sera. Considerando che il costo dovrebbe essere di 40.000 euro non è cosa da poco.