A distanza di neanche ventiquattrore dal post con cui ho avviato una discussione sul progetto di fare una startup school a Roma, tento di sintetizzare le prime reazioni.
1. Chi siete, da dove venite e chi vi legittima?
La prima reazione notturna a caldo è di Matteo Flora che dice che esperienze come SeedCamp, TechStars o YCombinator sono fatte da persone con esperienze sul campo e con un comprovato passato. Verissimo e questo vorrei che fosse anche lo spirito della Startup School di Elastic: persone con esperienza che aiutano gli aspiranti imprenditori a concretizzare la propria idea.
Il ruolo di Elastic è quello di mettere in piedi il progetto e assicurarsi che funzioni tutto nel modo migliore. Non ci sognamo di dire: vieni qui che ti spiego da che parte gira il mondo… Invece, mettiamo in campo la nostra esperienza nel progettare e organizzare.
2. Il modello didattico
Vorrei che ci fossero pochissime lezioni frontali. Invece, immagino delle giornate laboratorio durante le quali ci si eserciti a fare le cose e si possa dialogare con gli esperti su questioni pratiche. Allo stesso tempo, penso che tra un incontro e l’altro i partecipanti si debbano rendere parte diligente facendo i compiti a casa, leggendo una serie di testi e portando avanti il proprio progetto.
Una startup school non può essere come un corso a un triennio universitario, dove il professore ti racconta il libro che ha scritto, tu lo impari più o meno a memoria e poi rispondi ai quiz. Il ruolo del docente, dal mio punto di vista, è quello di facilitatore e gli studenti devono essere attivi e molto votati al problel solving, altrimenti non c’è alcuna speranza che possano mettere in piedi un’impresa.
Allo stesso tempo, tendo a concordare con Giuliano Iacobelli che dice: «Nel momento in cui si mette in piedi questa macchina sarebbe un peccato limitarlo ad esercizio, senza contare che farebbe venir meno uno degli ingredienti fondamentale del fare una startup ovvero l’entusiasmo di creare qualcosa di proprio da zero!»
3. Come viene finanziata la scuola
Gli acceleratori americani prevedono generalmente che i team abbiamo delle borse di studio che gli permettono di lavorare full time per avviare il progetto e poi gli organizzatori e/o i mentor prendono una quota della startup (soprattutto se accede a un finanziamento). Questo schema presuppone che l’animatore della scuola sia un investitore e – purtroppo per mancanza di materia prima – non è il caso di Elastic. Nulla toglie, però, che al progetto decidano di aggregarsi uno o più invistitori e che quindi si possa usare anche questo tipo di approccio (Marco Magnocavallo che lo sponsorizza magari ha disponibilità e vuole investire in qualche giovane promettente).
Il modello più semplice è scontato, invece, è che i partecipanti paghino una tassa di iscrizione e che eventualmente questa possa essere sussidiata da uno sponsor con delle borse di studio.
Ad ogni modo, il discorso è ancora tutto da definire, ma è senza dubbio necessario ragionare su come deve essere fatto il contenitore: assomiglia di più a una scuola oppure va nella direzione dell’acceleratore? A me piacerebbe il secondo scenario, ma occorre costruire delle condizioni a contorno.
3. Altre esperienze
Mi segnalano una serie di altre esperienze italiane (e una svizzera) legate alle startup. Le indico di seguito perché ha molto senso avviare un dialogo:
- InnovationLab, un’iniziativa rivolta agli studenti e ideata all’interno della Terza Università di Roma e animata da Carlo Alberto Pratesi e Augusto Coppola.
- Imprenditori si diventa, un progetto di Consules e MITaly (Italian Association at the Massachusetts Institute of Technology), in collaborazione con alcune università del centro e del sud che promuove un progetto gratuito per formare e sostenere i giovani aspiranti imprenditori italiani.
- Lean Startup Hack, realizzato dal Topix di Torino a novembre scorso. Di questa esperienza, mi scrive Christian Racca che dice: «Con alcune delle nostre startup stiamo inoltre provando a mettere in pratica (non senza difficoltà) i concetti di customer development, pivoting nonchè “giocando” con il canvas di Osterwalder. Un lavoro duro e che richiede molta pazienza principalmente perchè rappresenta comunque una forzatura al naturale slancio dello startupper focalizzato in primo luogo sul prodotto.»
- Luiss Entrepreneurship for Development Center, che quest’anno ha realizzato la prima edizione di un master di imprenditorialità sponsorizzato dalla banca d’affari Nomura.
- VentureLab, un’iniziativa dell’ Commissione per la tecnologia e l’innovazione CTI della Svizzera volta a sostenere le start-up che operano in ambito dell’alta tecnologia e a proporre corsi sull’imprenditorialità per gli studenti delle Scuole universitarie professionali.
4. I prossimi passi
In ventiquattro ore sono arrivati una serie di stimoli interessanti, quindi il primo obiettivo è stato raggiunto. Adesso occorre andare avanti a definire meglio gli aspetti del progetto continuando a discuterne. Dal canto mio in questa settimana farò due cose: a) porterò il progetto all’attenzione dei venture capitalist italiani e degli altri soggetti che potrebbero essere interessanti per raccogliere le loro reazioni; b) intervisterò le persone che stanno realizzando le altre esperienze a partire dai ragazzi del Topix.
Il tutto, ovviamente, sarà raccontato in questo blog con l’obiettivo di costruire collettivamente la strada italiana alle Internet startup 🙂