L’arte di progettare giochi

Gamification sta diventando sempre di più una buzzword, ma mi sembra che attorno all’argomento ci sia molta confusione. C’è chi pensa che mettere dei badge a una qualsiasi applicazione sia sufficiente per farla diventare un gioco, chi si illude che qualsiasi cosa possa diventare in qualche modo giocabile e molti che si improvvisano game designer (probabilmente qualcuno si è già proclamato game strategist per darsi un tono). Allora ho deciso di cercare di capirne di più e ho comprato The Art of Game Design di Jesse Schell, scegliendolo nella lista di testi consigliati da Federico Fasce. Si tratta di un bel tomo di quasi cinquecento pagine, da cui appare subito evidente che progettare giochi non è una cosa facile 🙂

Cerco di sintetizzare alcune delle cose che mi sembrano più importanti. Alla base di un gioco ci sono quattro elementi – meccaniche, storia, estetica e tecnologia – che supportano un tema. Schell le illustra portando come esempio Space Invaders (1978).

Meccaniche
Le meccaniche sono le procedure e le regole del gioco; descrivono gli obiettivi del gioco, come i giocatori possono raggiungerli e cosa accade quando ci provano. Quando uscì, Space Invaders era un gioco che proponeva delle meccaniche completamente nuove: il giocatore sparava agli alieni che potevano rispondere al fuoco; poteva nascondersi dietro degli scudi; gli alieni più vicini valevano meno punti di quelli lontani; il gioco durava fin quando il giocatore era in grado di completare un quadro e via di seguito.

Storia
La storia è la sequenza di eventi che anima il gioco e può essere lineare e predeterminata oppure emergere dalle azioni del giocatore. Inizialmente, Space Invaders era ambientato su un campo di battaglia con dei soldati, ma poi si optò per un’invasione dallo spazio: anche in considerazione delle limitazioni tecniche, far scendere degli alieni verso il pianeta sembrava una storia più credibile che non far avanzare dei fanti inquadrandoli dall’alto.

Estetica
L’estetica è la cosa più visibile del gioco e include la grafica, i suoni, a volte gli odori e le sensazioni tattili. Nel 1978 la tecnologia digitale non offriva molte opzioni: chi ha giocato a Space Invaders ricorda che il gioco era in bianco e nero e che il colore era dato da una serie di strisce colorate sovrapposte allo schermo. Un semplice accorgimento che migliorò notevolmente l’estetica della console. E come dimenticare la musichetta ossessiva?

Tecnologia
Meccaniche, storia ed estetica devono essere supportate da una tecnologia, ossia l’insieme dei materiali usati dai giocatori, che vanno dalla semplice carta ai simulatori di realtà virtuale. Nel caso di Space Invaders, la tecnologia fu creata ad hoc.

Tema
Il tema potrebbe essere definito come l’essenza dell’esperienza che si vuole far vivere al giocatore. Per esempio, un gioco sportivo può puntare ad esaltare l’aspetto agonistico oppure quello manageriale: la scelta influenzerà la progettazione degli elementi del gioco che dovranno supportare e rinforzare il tema in modo coerente permettendo all’esperienza di emergere nella testa del giocatore. Ovviamente, ci sono temi più forti di altri come le epiche cavalleresche, i grandi amori, la lotta tra il bene il male e via dicendo.

Fin qui sembra tutto sommato semplice, ma basta entrare nelle meccaniche per apprezzare le tantissime sfaccettature di questo tipo di progettazione che mi sembra ben più difficile di quella della user experience. Schell ne elenca sei:

  • spazio. Ogni gioco si svolge in uno spazio, che può essere un tabellone oppure un mondo virtuale. Anche i giochi che in apparenza non hanno spazio, in realtà si svolgono nello spazio mentale dei giocatori;
  • oggetti, attributi e stati. All’interno dello spazio di gioco, ci sono degli oggetti ossia personaggi, pedine, dadi e cos’ di seguito. Ogni oggetto ha degli attributi (per esempio la posizione all’interno dello spazio) e un stato (per esempio, la velocità con cui si muove nello spazio). Oggetti, attributi e stati possono essere anche segreti, come le carte coperte in un gioco da tavolo;
  • azioni. Le azioni sono di due tipi: azioni operative, ossia quelle fatte dai giocatori come spostare una pedina, e azioni risultati, che emergono come conseguenza dell’attività di gioco;
  • regole. Le regole definiscono lo spazio, gli oggetti, le azioni, le conseguenze delle azioni, gli obiettivi del gioco. Ovviamente si parte dal regolamento di gioco, ma l’insieme di regole che si usano sono generalmente più ampie e derivano anche dall’esperienza che accumula giocando;
  • abilità. Quando parliamo di abilità spostiamo l’attenzione dal gioco al giocatore e determiniamo quali debbano essere le competenze che questi deve mettere in campo in termini fisici, mentali e sociali;
  • fortuna. La fortuna, infine, rappresenta una elemento fondamentale i molti giochi perché introduce un elemento di incertezza e sorpresa.

Ovviamente, ciascuna di queste meccaniche meriterebbe un approfondimento, ma non è questo il luogo per farlo. Senza considerare che il sottoscritto non ha titolo a concionare su questi argomenti nel dettaglio, non avendo alcuna esperienza in materia. La lettura di un libro certo non basta…

Concludo con una piccola critica. L’autore di The Art of Game Design si mantiene molto sul teorico ed è un peccato perché avrebbe giovato molto entrare nel dettaglio di uno o più giochi proponendone un’analisi che ne facesse apprezzare le finezze progettuali. D’altro canto, mi sembra abbastanza evidente che il mestiere di game designer è fortemente influenzato dall’esperienza, quindi una serie di case history aiuterebbe molto ad apprendere più concretamente 🙂

4 Responses

  1. Ti consiglio di provare con “A Theory of Fun for Game Design”. Credo approfondisca meglio gli aspetti psicologici del gioco e come poterli utilizzare per derinire delle meccaniche (core rules). Tra l’altro io ed Andrea Maietta abbiamo tenuto uno speech alla WhyMca 2011 sull’argomento. Qui la mappa dello speech: bit.ly/mqzYkG e qui (bit.ly/eEmWxk) il primo di una serie di post sull’argomento. Tra l’altro abbiamo anche messo su un sito sui ludemi: http://www.ludemes.com (ancora in WIP, ma utilizzabile)

    1. Grazie. Ho comprato anche quello: lo leggo sotto l’ombrellone nei prossimi giorni 🙂

  2. ho sfiorato l’argomento perché dopo avere \scoperto\ il wiki http://pygame.org/wiki/tutorials (in qualità di appassionato di Python), ho letto il libro: http://www.amazon.com/Beginning-Game-Development-Python-Pygame/dp/1590598725 ritengo molto interessante studiare la teoria (e la pratica) dei giochi in quanto si sviluppano doti di analisi, sintesi, inventiva che a mio modesto avviso tornano comode sul lavoro e non solo. Sarebbe insomma una materia da introdurre, anche 1 ora a settimana nei piani scolastici a partire dalle elementari, penso che molti di noi farebbero a meno di 1 ora di latino o di greco, materie intendiamoci sicuramente valide, se alla fine vorrai diventare un filologo, ma poco pratiche se appena laureato ti verrà chiesto di integrarti in gruppi di lavoro dinamici, dove si parla inglese e non greco antico o latino…