Il mio post su un ecosistema delle startup a Roma ha innescato un’interessante discussione su Facebook, che cerco di sintetizzare di seguito andando per temi.
Professionisti specializzati in startup
Antonio Leonforte mette in evidenza il fatto che è difficile trovare professionisti (commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati e via dicendo) che abbiamo una competenza specifica in tema di startup tecnologiche: «la mia esperienza è che la realtà romana è infestata da “professionisti” tanto costosi quanto incompetenti, sopratutto quando la startup mira ad espandersi fuori dall’Italia». Quindi suggerisce: «un “polo” di innovazione dovrebbe anche attirare un nucleo di professionisti giovani e preparati che realmente sappiano indicare alle startup quali sono gli strumenti migliori per rapportarsi con la burocrazia e con le leggi. Meglio ancora dovrebbe definire convenzioni con un nucleo di professionisti particolarmente validi, realizzando economie di scala».
Associazionismo e rappresentanza
In questi giorni si discute della nascita di una nuova associazione, Roma Startup, che ha l’obiettivo di fare lobby per promuovere la creazione di un polo di startup nella Capitale: l’iniziativa è stata ideata da Gianmarco Carnovale, Peter Kruger, Augusto Coppola e Luigi Capello. Personalmente ho qualche dubbio, ma mi auguro che l’associazione diventi rappresentativa, il che – per esempio – significa costituirla con una base molto ampia di soci fondatori tra cui soggetti istituzionali, come le università (quelle vere), le associazioni degli imprenditori, qualche istituto di credito del territorio (ne è rimasto qualcuno?) e via di seguito.
A proposito di associazioni, Daniele Buzzurro fa notare che ogni tanto c’è qualcuno che si sveglia e fa un’associazione oppure crea un gruppo. Anche Stefano Bernardi è molto critico su questo punto.
Pessimismo accademico
Paolo Merialdo, promotore di InnovactionLab, non è molto ottimista sulla propensione al rischio dei suoi colleghi: «i dottorandi hanno compentenze, ma non hanno l’ambizione di fare impresa. Il loro obiettivo è “fare ricerca” nell’accezione più romantica, idealistica (e probabilmente anacronistica) del termine. Le ragioni sono tante: nell’universita si fa poca cultura di impresa (InnovAction Lab è nato per reagire a questa lacuna); i docenti cercano dottorandi che sappiano tradurre idee in paper, non in aziende; non abbiamo esempi di successo (non c’è bisogno di arrivare a Brin che lascia il dottorato a Stanford per fondare Google; si può partire con un buon risultato di Antonio Bevacqua con il suo Condomani). I ricecatori chi sono? Docenti universitari? con uno stipendio fisso e garantito non hai il pepe per dedicarti all’impresa (e le regole del gioco, in tutto il mondo, prevedono che quello che devi produrre sono articoli, non imprese); sono precari universitari vari? (titolari di assegni di ricerca, ricercatori a tempo determinato, borsisti, etc.) ambiscono ad entrare nel sistema, non ad uscirne…
«Concordo nella necessità di concentrare iniziative di formazione “a là InnovAction Lab” prevalentemente sugli studenti degli ultimi anni (ma per carità lasciamo perdere i master…). Tuttavia, mi convinco sempre più che per diffondere cultura di impresa e per migliorare il sistema universitario (!), sia necessario avvicinare già le matricole. Dobbiamo dare agli studenti una visione sulla quale impostare i loro studi: dovrebbero entrare nelle università affamati di compentenze, non di firme sul libretto. E farebbe molto bene anche a noi docenti: è molto più semplice mettere in piedi un sistema che certifica esami che un sistema che insegna con efficacia. In quest’ottica, quest’anno ad Innovaction Lab ci stiamo attrezzando per coinvolgere studenti dell’ultimo anno delle superiori: la mia speranza è di riuscire ad avere tra le matricole del prossimo anno accademico studenti esigenti sui programmi dei corsi, non sul numero di appelli. La sfida sarà non deluderli».
Andando verso le superiori, Paolo propone un approccio un po’ montessoriano che condivido, ma che rischia di essere un percorso troppo di lungo periodo.
I system integrator
A Roma ci sono sicuramente molto system integrator, anche perché c’è molta Pubblica Amministrazione e quindi il terreno è fertile. Giuseppe Cardinale Ciccotti sostiene che queste aziende potrebbero avere un ruolo positivo, ma io tendo di più ad essere d’accordo con Simone Cicero quano dice: «la stragrande maggioranza dei SysInt di medie dimensioni a Roma sono ex-cacciavitari neanche troppo restii agli impicci (e ci siamo capiti)». Aggiungo: non solo quelli di medie dimensioni, anche quelli grandi quando si parla di impicci non sono secondi a nessuno 🙁
Aggiungete la vostra nei commenti…