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Intervista con Francesco Sullo (fondatore di Passpack)

A Francesco Sullo e Tara Kelly voglio bene: sono cari amici, abbiamo fatto un sacco di piacevoli chiacchiere insieme quando stavano a Roma, ho dato un piccolissimo contributo alla nascita di Passpack e attualmente sono uno dei membri del consiglio di amministrazione della società. E questo valga da disclaimer 😉
Ciò detto, l’esperienza di Passpack è paradigmatica per molti aspetti, quindi vale sicuramente la pena di impiegare un’oretta di tempo per ascoltare l’intervista a Francesco.

Gli inizi
Ho fatto di tutto, la mia prima attività è stata quella di grafico vecchio stile in un’agenzia pubblicitaria, poi ho lavorato nell’editoria, in quella che allora si chiamava Diemme Editori, ora Edizioni Master. Vi entrai come redattore occupandomi del “Mercatino del computer”, un giornale informativo sul software formato tabloid di 40 pagine che scrivevo io. Poi sono passato al ruolo di caporedattore, poi direttore editoriale e poi mi sono dimesso perchè mi ero stancato, e mi sono trasferito a Roma. In quel periodo, nel ’96, ero interessato a Internet, di cui si parlava da poco, ho lasciato la parte editoriale e mi sono messo a fare il freelance, realizzando come prima attività una directory sull’arte, Artenet, completamente generata dagli utenti. Era un esperimento per vedere se era possibile creare un sistema in cui gli utenti facevano tutto. Lo scrissi in Perl e ci misi circa 15 giorni per completare il codice. Un sistema complesso, anche perchè avevo la connessione Internet che cadeva ogni 30 minuti, e io dovevo fare i test direttamente on line. Insomma, creai questo Artenet che partì con 15mila utenti tra artisti e galleristi, fino ad arrivare, nel giro di qualche anno, a quota 22 mila. A un certo punto decisi di vendere il dominio per poco, fu un’esperienza interessante. Poi da lì il web design, in Cap Gemini dove lavoravo per clienti come Telecom e Wind, dove avevo sviluppato un sistema per gestire i contratti corporate.
stato Responsabile della Comunicazione del Customer Service e poi Interna in Blu. Quindi, da freelance, e, a partire da questa esperienza, ho creato un cms che si chiamava Mooffanka, multiutente e con accesso granulare a tutti i diritti della piattaforma, prodotto su cui provammo a fare una startup con un amico di Rimini con cui creammo una società per commercializzarlo. Partecipammo a un paio di concorsi di business plan, ma erano cose di pura forma, nessun investimento reale, una situazione ridicola.

L’avventura di Passpack
Nel 2006 nasce Passpack, avventura iniziata nella maniera più classica di ogni startup. Avevamo un problema: c’erano una marea di password che bisognava gestire e ricordare e per ogni cliente c’erano difficoltà, si perdevano le password, tu non te le ricordavi, così la mia soluzione iniziale per anni è stata quella di avere un password manager installato nel pc, che però non funzionava sempre. Quindi abbiamo pensato di creare un password manager on line e fra quando ho avuto l’idea e quando l’abbiamo attuata sono passati 3 anni. Allora, infatti, non c’erano le tecnologie per farlo e l’unico modo per renderlo sicuro era cifrare tutti i dati direttamente nel browser, che dovevano possedere tutte le librerie dei diversi sistemi di crittografia, ed essere in grado di gestirle velocemente. Il 2006 è stato un periodo buono per realizzare tutto ciò e siamo partiti con Tara.
L’inizio di Passpack è legato alla costruzione della prima versione del prodotto. Fu una cosa veloce, perché decidemmo di partecipare a LeWeb il 30 novembre, con l’evento previsto per il 12 dicembre. Avevamo 11 giorni di tempo e ci abbiamo provato. Sviluppammo una prima versione minimale, che funzionò, poi da lì la migliorammo dal punto di vista del design e dell’impostazione e, appena pronto il prodotto, cominciammo a interagire con gli utenti, soddisfacendo le loro esigenze. Un lavoro di sviluppo continuo, durato 6 mesi. Poi a giugno ci rendemmo conto che non avevamo più entrate economiche e dovevamo iniziare la ricerca di investitori.
In Italia non riuscivamo a trovare niente, così andammo a Londra, dove incontrammo parecchia gente, ma difficilmente persone che volessero investire. Se volevamo fondi da quelle parti ci voleva una società in Inghilterra perchè dall’Italia era difficile finanziarla. Ma non avevamo intenzione di spostarci, così tornammo in Italia e cominciammo a cercare tra i contatti che avevamo. C’era un amico che lavorava per un ente, di cui non ricordo il nome, che a sua volta lavorava per la promozione delle aziende nel Lazio. Lui non ci poteva aiutare perchè loro fornivano supporto a livello di infrastrutture (ad esempio computer, se ne avevi bisogno), ma non ti potevano finanziare un progetto di marketing. Questo tipo conosceva però il presidente dell’Iban, che sarebbe venuto a Roma per fine estate, e lì si avviò tutto. Ci chiese se avevamo intenzione di spostarci nel Nord Italia, e a noi andava bene un po’ tutto. A un certo punto ci contattò Lorenzo Franchini di IAG e lì avviammo tutto il discorso che ci portò a raccogliere i loro fondi diventando il loro primo investimento da 350.000 euro. Grazie a loro imparammo molto.

L’organizzazione
Con i soldi, creammo la struttura di Passpack a Roma. Stavamo realizzando un servizio che non esisteva, quindi non avevamo metri di valutazione già verificati da altri e andavamo avanti per assunzioni. Sulla base di queste assunzioni avevamo messo su un business plan che prevedeva una buona crescita della società, e quindi persone da assumere. Ci accorgemmo, però, che queste assunzioni erano sbagliate. Non scartammo il business plan per questioni formali, poiché chi aveva investito sulla nostra società l’aveva fatto sulla base di quel documento, e dovevamo loro del rispetto. Andammo avanti, consapevoli che le cose non stavano funzionando. Per quanto riguarda la ricerca di collaboratori, si verificarono diversi problemi, come l’estrema difficoltà di trovare un programmatore JavaScript su Roma. Lo sviluppo procedeva a rilento, con piani di rilascio saltati e poche entrate e, alla fine, fummo costretti a licenziare.
Nel 2008, gli investitori chiusero i rubinetti, e noi continuammo a sviluppare il prodotto con molta lentezza. Dovemmo quindi ridurre il personale al minimo indispensabile e, di fatto, nel gennaio del 2009 rimanemmo solo io e Tara. In due sviluppammo in un mese più di quello che era stato prodotto nei sei mesi precedenti, a dimostrazione del fatto che se un team funziona, lo sviluppo del prodotto corre veloce.

Concorrenza
L’idea alla base di Passpack è nata da me, ma prima ancora di cominciare a realizzare il servizio, lessi un articolo su Passlet, un sistema americano molto semplice che implementava lo stesso modello e la stessa tecnologia che io avevo pensato di applicare a Passpack. Nel 2007 non avevamo competitor, sul mercato eravamo solo noi e Clipperz, ma ad agosto 2008 il primo vero competitor andò online: si chiamava LastPass e nasceva come plug in per Firefox, memorizzando i dati a livello locale nel sistema e mettendoli on line allo stesso tempo.

America
Sempre nel 2008 fummo finalisti a Mind the Bridge, e a marzo del 2009 Tara andò negli Stati Uniti. Volevamo capire se era possibile ottenere finanziamenti in America, e scoprimmo che in quella determinata fase della vita della nostra società per gli investitori non era importante verificare quanto fatturasse Passpack, ma piuttosto se ci fossero delle metriche replicabili, parametro grazie al quale era possibile trovare nuovi fondi.
Quello che ci serviva, quindi, era avere un po’ di soldi per costruire queste metriche. E su questo punto il nostro investitore Zernike Meta Ventures era d’accordo e ci chiese di presentare un piano su come utilizzare questi fondi. Il nostro obiettivo era quello di tirare fuori una serie di processi replicabili da presentare ai nostri potenziali investitori. In realtà, scoprimmo che per i nostri investitori il problema più urgente da risolvere non era quello di creare delle metriche, bensì quello di farci trasferire negli Stati Uniti, per trovare del management adeguato alla società, perché pensavano che noi non eravamo stati in grado di eseguire il business plan.
Anche se io inizialmente non ero d’accordo su questo trasferimento (ma ero in minoranza), andammo negli Stati Uniti, e Tara ci rimase tre mesi, scoprendo che trovare manager non era poi così facile. L’interesse intorno al nostro servizio, però, era tangibile, e piano piano costruì un secondo progetto, cioè un specie di Passpack, un prodotto che si chiamava Keybind, un sistema simile a Skype che permetteva di scambiare dati sensibili usando la tecnologia di Passpack tra medici e laboratori. Era un modo per usare il nostro servizio nel mondo della salute, coinvolgendo importanti medici e advisor. Per realizzarlo concretamente, però, avevamo bisogno di un caso pilota. Trovammo una società di New York che aveva circa 25 mila clienti tra medici e cliniche, ma servivano anche 150 mila dollari per fare un pilot, che non riuscimmo a trovare. Provai a farlo anche in Italia ma non ci fu verso.
Alla fine, abbiamo deciso comunque di trasferirci in pianta stabile in America, perché pensavamo che avremmo avuto più possibilità.

Fondi pubblici e privati
La società doveva essere costituita negli Stati Uniti, su questa cosa c’è stato un blocco che dura a tutt’oggi da parte dei nostri investitori italiani legati al fondo semipubblico Ingenium, che non possono finanziare una società con sede fuori dall’Italia. Se non avessimo avuto questo problema, avremmo costituito la società negli Stati Uniti e avremmo preso i fondi americani. In Italia non c’erano comunque sbocchi e decidemmo di trasferirci in America dove avevamo più possibilità. Inoltre, il 60% dei clienti di Passpack sono nordamericani, quindi lì potevamo seguire più facilmente le cose, anche per via del fuso orario. Ora Passpack continua a crescere lentamente poiché è un sistema complesso ma allo stesso tempo è anche replicabile e si vende: abbiamo infatti un tasso di conversione del 4% e un tasso di rinnovo del 90%.

Il futuro
Adesso sto lavorando su un nuovo progetto, Sameteam, un servizio che rompe le regole dei sistemi sociali. Sono anche molto attivo su Facebook, in “Italian Startup Scene”: gruppi come questo sono molto importanti perché il network è tutto. Italian Startup Scene, in particolare, ha creato una rete di persone attive in questo settore, una vera e propria base di partenza per creare un ecosistema. Purtroppo quello che manca in Italia è per esempio una legislazione che ti permette di fare operazioni senza spendere troppi soldi. Inoltre non c’è una mentalità collaborativa, al contrario dell’America, quindi è difficile creare partnership.
Tra 5 anni mi vedo come presidente di un paese povero, che farò diventare il più potente del mondo. Questo è il mio sogno segreto.