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Un piccolo sfogo sui luoghi comuni e le agenzie per la supercazzola

Un paio di settimane fa sono stato ospite di Carlo Infante presso la redazione dell’Unità per parlare di innovazione e startup insieme con Mario Dal Co, direttore generale dell’inutilissima Agenzia per la diffusione delle tecnologie l’innovazione (come dire la supercazzola) e Nicola Salvi.

Il resoconto è in un articolo comparso nell’inserto Unitag del 4 febbraio 2012. Ho detto delle cose scontate che il giornalista ha riassunto così:

C’è molto da fare, subito, dice Nicola Mattina, «nessun settore può fare a meno dell’innovazione. Guardate la Silicon Valley, che punta sulle piccole imprese che crescono velocemente, le start up. Davanti alla velocità dei cicli dell’innovazione anche le grandi aziende si comportano come startup: la Kodak è fallita perché non ce l’ha fatta ad adeguarsi. A San Francisco c’è proprio l’allevamento delle società start up, un grande sistema di piccole aziende. E Google ne ha comprate cinquanta in un anno. Se non ci fossero queste società frizzanti il saldo dell’occupazione negli Usa sarebbe negativo. Il nostro governo, intanto, potrebbe fare quattro cose. Investire nelle università di eccellenza (l’Italia non ne ha nessuna nelle prime cento). Favorire l’immigrazione di qualità: chi emigra cerca promozione sociale, il gotha della Silicon Valley è fatta di immigrati, anche italiani. Ancora: invece di sovvenzionare le imprese, bisogna investire nella ricerca, e poi magari offrirla alle imprese. Infine la trasparenza. L’Italia è il più opaco dei Paesi europei: non si sa come si assegnano i bandi di gara né come procedono i lavori, né le performance delle strutture pubbliche. È quasi uno scandalo».

In un altro passaggio, la giornalista mi attribuisce un’affermaizone che invece è stata fatta da Nicola Salvi in merito all’utilità di un fondo nazionale di garanzia per le imprese innovative. Sinceramente a proposito non ho un’idea sensata da esprimere, salvo il fatto che esiste un articolato sistema di garanzia gestito da Confidi che forse potrebbe essere usato per gli scopi a cui si riferisce Salvi.

Rispetto alla necessità di avere delle università tra le prime del mondo, mi è stato fatto notare che i nostri atenei non devono essere poi tanto male, visto che quando i nostri ricercatori vanno all’estero ce li invidiano. Uno dei classici luoghi comuni a cui rispondo così:

  • le classifiche sulla qualità delle università misurano la ricerca e la produzione scientifica e non la didattica. Noi investiamo (molto) meno di altri Paesi industrializzati in ricerca, non promuoviamo il merito e non premiamo i migliori. Così facendo, ci stiamo tagliando le palle da soli. Lo Stato deve agire su questi fattori, invece di continuare a erogare soldi a fondo perduto che producono solo parassitismo e aziende destinate al fallimento che si tengono in piedi in modo artificiale grazie ai contributi pubblici;
  • sfido io che ci invidiano i ricercatori che vanno all’estero: sono i migliori, sono ambiziosi e vogliono avere la possibilità di lavorare con gente brava come loro e di competere per le proprie capacità e non per la predisposizione a leccare il di dietro del barone di turno. Oppure di vedersi scavalcati da arrogantelli che fanno fulminee carriere universitarie grazie alle relazioni di papà.

Di questi luoghi comuni e delle agenzie per la diffusione della supercazzola sinceramente non abbiamo proprio bisogno 🙂

UPDATE. Se volete c’è anche il video dell’incontro: