Legacy Blog

Intervista con Stefano Argiolas (fondatore di Chupa Mobile)

Stefano Argiolas è fondatore di Chupa Mobile, startup di Ostia che recentemente ha annunciato l’ingresso nella compagine societaria di Fabio Pezzotti, imprenditore seriale, fondatore di Xoom (oggi nella galassia Virgilio) e Mobango (acquistata nel 2011 da People Infocom).

Gli inizi
Ho una formazione tecnica. Poco prima dell’esame di maturità rimasi affascinato dallo sviluppo della grafica 3D. Dopo il conseguimento del diploma mi iscrissi all’università, ma allo stesso tempo cominciai a lavorare come freelance per alcuni clienti, nel campo dello sviluppo web. La mia passione era il 3D ma in Italia, nel 1999-2000, si trovava poco lavoro in questo settore. In realtà, prima cercai un posto da dipendente: durai 40 giorni in una società di sviluppo e capii subito che non era una cosa per me. Cominciai quindi a lavorare come freelance, con clienti recuperati grazie a qualche conoscenza. Quello era un periodo d’oro, sia a livello economico che di possibilità, per chi sapeva lavorare sul web. Dopo neanche sei mesi presi i primi contatti con la Twenty Century Fox Italia e, nel giro di un anno, la collaborazione divenne sempre più stabile. Decisi quindi, nel 2001, di aprire una piccola SRL, la mia prima esperienza imprenditoriale. Eravamo in due, c’era anche il mio socio Daniele, e cominciammo a lavorare quasi esclusivamente con la Twenty Century Fox perché il lavoro richiesto era sempre molto, calcolando che venivano lanciati 1-2 film al mese. Diventammo quindi il loro punto di riferimento per qualsiasi attività di digital marketing, cercando di essere sempre propositivi e innovativi. Cominciammo anche a lavorare con qualche altro cliente, tra cui Peroni, ma ne avevamo sempre pochi perché il lavoro che ci chiedevano era molto.
In definitiva, quindi, la mia esperienza da dipendente durò solo 40 giorni, non era proprio quello che cercavo in quel momento. Nell’arco degli anni ricevetti molte proposte professionali, ma avevo ancora voglia di dimostrare qualcosa in autonomia, e inoltre mi piaceva il tipo di vita che avevo facendo il libero professionista.

Il lavoro con i grandi brand
Continuammo a lavorare con Twenty Century Fox fino al 2005, anno in cui con Paolo De Santis, attuale co-founder di Chupa Mobile, aprimmo un’altra società maggiormente dedicata al mondo mobile. La precedente società fu assegnata a Twenty Century Fox, per cui continuiamo a lavorare tutt’ora, ormai quindi da 12 anni, ma allo stesso tempo ci concentrammo su questa nuova avventura. Girammo parecchie conferenze internazionali per individuare le tendenze più in voga nel settore mobile, e cominciammo a contattare potenziali aziende con cui lavorare in questo campo. Nel 2005 il mercato non era ancora pronto, se consideriamo che l’iPhone è uscito a settembre 2007, però il mobile ci fece da apripista per raggiungere clienti importanti proponendo soluzioni innovative. Iniziammo a lavorare con realtà importanti come Nike, Telecom Italia, Enel, Nokia, Renault, gestendo per loro diverse iniziative di comunicazione digitale. Nell’arco di 10 anni di esperienza ci siamo accorti che in realtà nessun brand è irraggiungibile, se hai delle proposte valide le risposte le ricevi. Noi abbiamo lavorato spesso con agenzie di comunicazione molto importanti come Saatchi & Saatchi e Leo Burnett come fornitori ma, avendo un ruolo molto importante a livello tecnico e di sviluppo, entravamo anche noi direttamente in relazione con i clienti, con cui si instaurava anche un rapporto personale. Questo si è visto dalla durata dei nostri rapporti con i clienti, ad esempio con Twenty Century Fox lavoriamo da 12 anni, con Nike dal 2005: ci hanno continuato a scegliere perché proponevamo sempre soluzioni innovative.
In quel periodo, nel 2005, Nike era il nostro cliente preferito, ci permetteva di liberare la nostra creatività. Poco prima dei Mondiali di calcio 2006 lanciammo una campagna di product marketing utilizzando la tecnologia bluetooth per inviare ai cellulari delle persone presenti ad una manifestazione o vicino un negozio Nike dei contenuti multimediali e applicazioni Java. Questo fu il primo escamotage che trovammo per far avvicinare i grandi brand al mondo del mobile e cominciare a proporre le prime soluzioni di digital mobile marketing, facendo comprendere loro l’importanza del canale mobile nella comunicazione.

La crisi
Dopo aver lavorato molto in Italia, trovammo per puro caso dei contatti a Dubai. Portammo quindi a termine alcuni lavori nel Medio Oriente e in India, anche lì con clienti importanti. Vendevamo diversi servizi nell’ambito del digital marketing, ma era ormai palese l’importanza che il mobile stava assumendo per noi e agli occhi dei nostri clienti. Dopo un’esperienza di due anni negli Emirati Arabi, fatta comunque in contemporanea al nostro lavoro sui clienti italiani, notammo un vistoso calo economico e finanziario in quell’area che portò a tagli profondi dei budget di comunicazione. Ci accorgemmo che in Italia i budget delle grandi aziende ebbero un piccola flessione, accompagnata però allo stesso tempo da richieste di progetti irrealizzabili con le cifre messe a disposizione. Nei mesi successivi i budget continuarono a ridursi, e divenne molto difficile poter mantenere in piedi una struttura con degli sviluppatori.

L’idea alla base di Chupa Mobile
Cercammo quindi di trovare una soluzione funzionale allo sviluppo di applicazioni iPhone in tempi più rapidi, riutilizzando librerie di codice già sviluppate in passato. Cominciammo quindi ad organizzare meglio il lavoro, e l’idea di Chupa Mobile nacque proprio così: ci rendemmo conto che questa soluzione era valida non solo per noi, ma per tutti gli sviluppatori. Creammo quindi una piattaforma che permettesse ai mobile developer di vendere e comprare pezzi di codice e moduli già sviluppati da poter integrare facilmente nel proprio progetto, come ad esempio una video gallery pronta e già impostata da inserire nella propria applicazione. Questo meccanismo consente di eliminare ore di sviluppo e di abbattere i costi. Abbiamo adottato questa soluzione prima per noi, e poi è diventata il punto di partenza per il business di Chupa Mobile, che vuole essere non solo un marketplace ma anche un punto di riferimento per il mobile developer, pieno di risorse sullo sviluppo, lezioni e tutorial per sviluppatori in erba che possono imparare a partire da porzioni di codice già pronte.

Il lancio del servizio e la ricerca di finanziamenti
A giugno 2011 lanciammo la prima beta di Chupa Mobile, semplicemente un sito descrittivo in cui chiedevamo agli utenti di iscriversi e di darci loro feedback sul progetto. Avemmo subito un ottimo riscontro da diversi developer a cui mandammo email per far provare il servizio, e ci mettemmo quindi subito all’opera per stabilizzare la piattaforma nel minor tempo possibile. A settembre arrivammo ad avere un prodotto sempre molto beta, ma già abbastanza funzionale. In quelle settimane capimmo però che rivolgerci ad un mercato di quelle dimensioni, da soli, sarebbe stato estremamente difficile, e cominciammo a cercare finanziamenti da parte di venture capitalist e business angel. A livello b2b noi avevamo una grande esperienza, ma il mondo del funding per noi era qualcosa di assolutamente nuovo, e quindi cercammo di informarci online, ad esempio attraverso la piattaforma Angel List. Quello che volevamo, però, era un riscontro, un’opinione sulla validità o meno della nostra idea, dal punto di vista di un finanziatore. Chupa Mobile è formata attualmente da me, dal co-fondatore Paolo De Santis, e da Marco Testoni che si occupa della parte dello sviluppo tecnico. Per evitare di bruciarci tutti i contatti con un approccio sbagliato, mandammo alcune mail via Linkedin, attraverso cui entrai in contatto con Fabio Pezzotti. Ottenemmo risposte a quasi tutte le mail che inviammo, sia in Silicon Valley che in Italia. Fabio fu subito entusiasta del progetto. Cominciammo a parlarne sempre più spesso in video conferenza via Skype e di persona, e ci trovammo praticamente su tutti i punti. Eravamo entusiasti anche noi di avere Fabio a bordo, perché è uno degli imprenditori italiani più di successo, che negli ultimi dieci anni ha tirato su dal nulla un’azienda più grossa dell’altra, tra cui Mobango, anch’esso un marketplace, con una struttura affine a Chupa Mobile. In realtà Fabio è proprio un co-founder, perché è stato parte attiva in tutte le scelte fatte dopo la fase alpha del progetto. Abbiamo quindi costituto la società a Londra per facilitare i finanziamenti di eventuali venture capitalist stranieri ed è partita l’avventura di Chupa Mobile.

Il mercato mediorientale
Negli Emirati Arabi le grandi società sono sempre partecipate dalle famiglie reali, ti capita sempre di avere come cliente uno sceicco, che è il CEO o il chairman dell’azienda. Il mercato lì è molto complesso perché è espressione di un mix di culture, con professionisti provenienti da tutto il mondo. Si parte quindi con un approccio culturale prettamente anglosassone, molto diverso rispetto alla situazione italiana. Io però vado in controtendenza. È facile oggi sparare a zero sull’Italia e sulle prospettive che offre. In realtà, le difficoltà che si affrontano qui nel mondo imprenditoriale ti fanno avere una marcia in più quando ti confronti con i mercati stranieri. Ad esempio il problem solving: gli italiani sono bravi a risolvere un problema in tempi abbastanza rapidi, loro, anche per piccole problematiche, seguono sempre percorsi logici complicati e inutili, con riunioni fiume.
In quel contesto, però, c’è un vantaggio economico: lì si paga il fornitore con il 50% di acconto e il 50% a fine lavoro. In Italia, abbiamo dovuto aspettare pagamenti, anche da enti importanti, fino a 12 mesi, mentre allo stesso tempo abbiamo continuato a fargli lavori per non perdere il cliente. Il nostro vantaggio, quando eravamo nel b2b, è stato quello di essere più elastici possibili, mantenendo una struttura dinamica con il personale ridotto allo stretto necessario e un’ampia rete di freelance.
Rispetto a Dubai, in Italia c’è poca meritocrazia, però noi abbiamo imparato a vedere il bicchiere mezzo pieno, reagendo in modo creativo a tutti i problemi che abbiamo trovato sul nostro mercato. Ad esempio, con Chupa Mobile ci siamo trovati di fronte a diverse difficoltà al lancio, ma ci eravamo già fatti le ossa per anni su un mercato già difficile di suo, e questo ha rappresentato un vantaggio per noi. In passato, quando abbiamo provato a fare delle presentazioni fuori dall’Italia, ci siamo resi conto che ci stavamo scontrando con culture completamente diverse. La cosa che però mi ha sorpreso negativamente è stata un’altra. Abbiamo avuto dei contatti con persone italiane che hanno fondato aziende di successo nella Silicon Valley, e sono state le meno disponibili ad aiutarci. Questa cosa mi è dispiaciuta, perché uno dei miei desideri, se riuscissimo ad avere successo con Chupa Mobile, è quello di trasmettere ai futuri aspiranti imprenditori le mie esperienze su come approcciare il mondo dei venture capitalist e del fund raising. Basterebbe darci una mano tra noi visto che a livello istituzionale non siamo aiutati, perché di menti brillanti in Italia ce ne sono tantissime e abbiamo una marcia in più, e lo dico con cognizione di causa dopo la mia esperienza in Medio Oriente.

Fare rete
Noi abbiamo avuto la fortuna di incontrare Fabio che ci sta guidando nel mondo del fund raising grazie alla sua grande esperienza, cosa che ci permetterà di far crescere la società in tempi più rapidi. Le cose da sapere per fare impresa non sono tante, basta organizzarsi un po’. Avere , ad esempio, una rete di startup a Roma, sarebbe la strada giusta. Oggi in Italia ci sono alcune realtà che si prefissano di aiutare le startup, ma in realtà sono tutte iniziative a fini di lucro, che cercano di guadagnare sul concetto di startup che oggi va tanto di moda. Si dovrebbe invece trovare un punto di aggregazione che metta in contatto le startup, e quindi i giovani imprenditori, con realtà che permettano loro di comprendere meglio le dinamiche di questo mondo, e di realizzare la loro idea nel cassetto. Noi abbiamo avuto il vantaggio di riuscire a stare in piedi perché avevamo una società alle spalle con un fatturato, quindi il salto dal b2b al b2c è stato pensato e gestito con dei fondi che avevamo a disposizione.

Il passaggio da b2b a b2c
Il passaggio è avvenuto dopo diversi mesi di lavoro. È stata una scelta ponderata, volevamo cercare nuovi stimoli nel b2c, avendo sempre il sogno di diventare una grande azienda. È un settore molto più complesso, perché si parla di numeri veramente alti, semplicemente a livello di visite sul sito, non ancora in termini di conversione dei lead e ritorno dell’investimento. Ci siamo avvicinati a questo mondo in modo semplice, abbiamo utilizzato gli strumenti che già usavamo per i nostri clienti per la consulenza strategica. Abbiamo quindi preso le nostre competenze e abbiamo cercato di utilizzarle per un nostro prodotto e non quello di un cliente. È sicuramente più difficile. Per la promozione abbiamo utilizzato i social network e abbiamo realizzato delle piccole campagne di advertising, ma il segreto è stata la comunicazione diretta. Abbiamo contattato direttamente, uno a uno, tanti potenziali utenti della nostra piattaforma per capire cosa volevano, le loro esigenze e cosa pensavano del progetto, per migliorarci continuamente. È stato un lavoro molto duro, portato avanti, all’inizio, quasi sottobanco, perché dovevamo cercare le email delle persone da contattare: la maggior parte è stata entusiasta del progetto anche se alcuni non erano molto contenti di essere stati contattati. Abbiamo utilizzato tutti i social network, Linkedin, Twitter dove abbiamo oltre 2.000 folllower, Facebook dove ci seguono in 6.000. Ci piace molto questa nuova avventura perché qualsiasi idea che abbiamo possiamo affinarla grazie alla community e metterla in pratica senza scontrarci con dipartimenti marketing di aziende esterne, rischiando sulla nostra pelle in modo molto stimolante e creativo.
In questo modo abbiamo il vantaggio di poter esprimere noi stessi, e la cosa più bella è quando ricevi i complimenti dagli utenti, che ci stanno arrivando da ogni parte del mondo. Se riuscissimo ad avere successo, mi piacerebbe aiutare qualcuno che si vuole affacciare in questo settore perché in Italia di idee ne abbiamo tante, dobbiamo solo avere la forza di metterle in pratica.
L’entrata di Fabio Pezzotti in Chupa Mobile
Quando eravamo alla ricerca di finanziatori, io e Paolo abbiamo fatto diverse conference call con personalità importanti della Silicon Valley. In Italia, invece, entrammo in contatto con Fabio Pezzotti. Con lui, prima di tutto, c’è stata una maggiore facilità nell’approccio dovuta alla lingua, e a livello personale e professionale è stato amore a prima vista. Lui era già un imprenditore di successo, e questa cosa ci ha fatto capire subito che tipo di apporto avrebbe potuto dare alla società. Veniva dal mondo del mobile con un’azienda che aveva creato un marketplace concettualmente simile a Chupa Mobile, e per questo ci comprendevamo appieno. La cosa più importante è stata l’entusiasmo: Fabio, da subito, è stato entusiasta del progetto, è stato molto disponibile su ogni fronte, portando in azienda un modus operandi lavorativo che fosse funzionale a tutti, senza mai volersi intromettere troppo nelle nostre decisioni. Fin da subito, infatti, ci ha lasciato potere decisionale su tutto, chiarendo che noi eravamo i creatori dell’idea e quelli che dovevano portarla avanti. Ci ha dato tanti ottimi consigli, il suo entusiasmo è stato sempre propositivo ma non vincolante. Quando ci si trova in queste situazioni, spesso i giovani sono dalla parte più debole: si trovano di fronte un imprenditore di successo mentre stanno cercando finanziamenti per riuscire a stare in piedi, e quindi sono disposti a cedere presto alle richieste dell’investitore. Con Fabio, invece, per noi è stato tutto positivo, dall’inizio alla fine. Ci ha fatto molto piacere vedere che un imprenditore che ha realizzato già tre exit importanti abbia ancora così tanta voglia di mettersi in gioco. Ci disse subito che lui non era un finanziatore o un advisor, ma un socio operativo e la decisione mia e di Paolo di accoglierlo come socio è stata molto ponderata e voluta.

Il futuro
Tra 5 anni spero che Chupa Mobile diventi un’azienda di successo, permettendoci così di avere un exit in tempi non troppo lunghi. Vorrei poi fare come Fabio sta facendo con noi, aiutare qualcuno che ha un’idea, per farla crescere. È un tipo di vita molto interessante e stimolante, faticosa ma che ti ripaga. Se ci fosse poi l’occasione di creare un hub, un punto di ritrovo per chi vuole fare startup, sarebbe veramente bello.