Oggi, le aziende sono chiamate a progettare e sviluppare nuovi prodotti a una velocità che sembra essere insostenibile per molte organizzazioni. In questo scenario dominato dal cambiamento, anche grandi corporation, con una consolidata fama di innovatrici, non sono riuscite a tenere il passo e sono finite travolte dai concorrenti, che hanno capito meglio di loro qual era il prossimo prodotto su cui puntare, o da una startup con un prodotto radicalmente nuovo.
Gli esempi sono tantissimi, ma forse la telefonia mobile è quella che si presta meglio ad apprezzare la velocità del cambiamento. Basta pensare ai tanti marchi che hanno scalato le classifiche di vendita negli ultimi venti anni grazie a un modello particolarmente fortunato, per poi perdere drammaticamente le posizioni acquisite nel giro di pochi anni. Ultima tra questi, Nokia è stata leader quasi indiscussa del settore fino a quando Apple non ha introdotto una nuova generazione di smarphone pensati per accedere a Internet. Oggi, dopo l’acquisizione da parte di Microsoft, lo storico marchio finlandese è di fatto uscito dal mercato dei telefonini. Sono bastati meno di dieci anni per consumare la tragedia commerciale dell’azienda.
Ovunque la tecnologia abbia un ruolo (e, oggi, è veramente difficile trovare un settore in cui questo non sia vero), la capacità di innovazione fa la differenza tra successo e declino. Il problema è che non è facile capire in cosa consista veramente questa capacità. Vi sfido a trovare un’azienda di qualsiasi dimensione che non si dichiari innovativa, che non mostri con orgoglio che ha delle attività di ricerca e sviluppo, che non abbia a bilancio delle poste che riguardano l’innovazione. E, tuttavia, molte tra queste aziende non riusciranno a trasformare i loro sforzi in prodotti che produrranno ricavi e utili. Perché? Ovviamente, non c’è una risposta semplice, ma possiamo identificare tre fattori chiave che sono presenti nelle aziende dei distretti che producono tecnologia digitale come la Silicon Valley in California, la Silicon Alley a New York, la Route 128 a Boston, il Silicon Roundabout a Londra, il cluster di startup del Baltico.
Il primo fattore riguarda l’adozione di un’ideologia, che postula che la tecnologia produce sempre e comunque progresso, migliorando la nostra vita e il mondo in cui viviamo. Questo fenomeno è stato descritto alcuni anni fa da Luca De Biase nel libro Edeologia (qui trovate una sintesi della sua tesi).
Il secondo fattore riguarda la scelta di modelli organizzativi che favoriscono la open innovation, ossia un paradigma che presuppone che le imprese non possono limitarsi a usare solamente le idee interne, ma devono attivamente cercare anche all’esterno.
Il terzo fattore, infine, riguarda il fatto che – in particolare negli ultimi cinque anni – queste aziende affrontano la progettazione e lo sviluppo di nuovi prodotti impiegando su larga scala le metodologie lean, che sono state inventate proprio con l’obiettivo di rendere meno rischiosi e costosi i test di mercato per i nuovi business.
In altri termini, un’azienda in cui le persone sono convinte di avere la missione di migliorare il mondo con la tecnologia, il cui modello organizzativo favorisce la libera circolazione e assimilazione di idee e che, infine, abbia imparato a usare i metodi lean per sviluppare nuovi prodotti ha qualche chance in più rispetto alle altre.