Dog-Shit-Girl è una ragazza coreana che ha avuto la pessima idea di non raccogliere gli escrementi che il suo cagnolino aveva prodotto in un vagone della metropolitana rispondendo in modo piuttosto maleducato a chi le aveva chiesto di pulire (vedi Don Park).
Fin qui potrebbe trattarsi di un episodio di ordinaria maleducazione (evidentemente non sono solo i proprietari italiani a pensare che sia legittimo lasciare le cacche dei loro animali in giro). Peccato che un altro passeggero si sia preso la briga di fotografare tutta la scena e di postare le immagini sul proprio blog. In breve tempo la ragazza è stata riconosciuta ed è diventata spiacevolmente famosa con il soprannome di Dog-Shit-Girl: tanto famosa che il 7 luglio se ne è occupato anche il Washington Post, che riporta che la ragazza ha dovuto lasciare l’università per l’infamia.
Nella blogosfera i commenti sono assai vari e se ne può avere un assaggio leggendo quelli in coda al post di Don Park. Uno degli argomenti predominanti riguarda la privacy: a questo proposito Howard Rheingold sostiene che le regole della privacy sono cambiate e che oggi chiunque può facilmente raccogliere informazioni su di noi o, peggio, controllare ciò che facciamo.
In altre circostanze Rheingold potrebbe aver ragione, ma in questo caso le cose stanno diversamente: il contesto è importante. La ragazza di cui stiamo parlando ha attirato l’attenzione dell’improvvisato reporter perché si è resa protagonista di un comportamento socialmente riprovevole: un’azione che verrebbe normalmente punita con un’ammenda. Un’altra persona avrebbe pulito (un anziano signore l’ha fatto al suo posto), lei ha deciso di rispondere male: la responsabilità per l’accaduto è unicamente sua.
E’ vero: a causa della rete, le conseguenze sono state eccezionali rispetto alla gravità dell’azione, ma ciò non toglie che la responsabilità iniziale di tali conseguenze sia e rimanga unicamente della ragazza.
Dare pubblica evidenza di un comportamento scorretto non può essere considerata semplicisticamente una facile propensione al linciaggio. Anzi, a me sembra che, a volte, invocare la riprovazione sociale sia l’unica strumento con cui ci si può difendere. Lo spiega bene Marcy Peek:
Il mio ragazzo è un accanito giocatore di videogame. Nel mondo virtuale del suo gioco preferito, quando un mostro viene ucciso e lascia sul campo un bottino, i giocatori deliberano su chi debba raccoglierlo. Tuttavia anche nel suo mondo virtuale ci sono dei giocatori poco corretti che non partecipano alla discussione e razziano la preda scappando via. Lo fanno perché pensano di rimanere impuniti giacché nessuno conosce la loro identità reale. Come fanno gli altri giocatori a punire il colpevole? Facendo uno screenshot dell’incidente e postandolo nel forum del gioco con la didascalia “Pincopallino è un saccheggiatore. Non giocate con lui”.
Nei giochi e nelle comunità on line questo tipo di meccanismo funziona. Anzi, siti come eBay basano il proprio successo sull’efficacia di sistemi di reputazione che rendono evidenti e pubblici i comportamenti che trasgrediscono le regole.
L’aspetto più interessante della vicenda di Dog-Shit-Girl non è la violazione della privacy, quanto il fatto che la tecnologia rende possibile applicare a contesti urbani forme di controllo sociale tipiche delle piccole comunità. La ragazza, infatti, ha lasciato gli escrementi nel vagone della metropolitana perché era con degli estranei e pensava che nessuno di loro avrebbe mai potuto incidere in modo significativo nella sua vita. Purtroppo si sbagliava perché, in questo caso, le conseguenze sono andate ben aldilà di quello che sarebbe stato auspicabile.