Pubblico con piacere una replica di Toni Muzi Falconi al post in cui ho messo decisamente in discussione il suo approccio all’etica delle relazioni pubbliche citando come esempio il suo ventennale impegno a favore dei produttori di tabacco.
Era difficile poter inventare a tavolino un caso più interessante di dilemma etico personale, professionale ed organizzativo inconsapevolmente prodotto proprio da questo scritto dell’ex-giovane collega Nicola Mattina. Ne farò avere certamente una traduzione in inglese a Patricia Parsons perché ne tenga conto nella nuova edizione del suo libro, tanto è paradigmatico della inconsapevolezza con cui, come professionisti di relazioni pubbliche, esprimiamo i nostri pensieri quando comunichiamo, senza sapere spesso di cosa stiamo parlando e soprattutto senza renderci conto delle ‘conseguenze’ che produciamo sugli altri.
Dunque: infastidito da una discussione pubblica fatta (dice lui) di ‘chiacchiere’, Nicola produce adesso un attacco diretto contro di me (fumatore… aggiunge) e Florence Castiglioni (non fumatrice… aggiunge) accusandoci di avere per tanti anni (dal 1976 al 1996) promosso, fra i tanti altri, anche gli interessi dei produttori di tabacco (pecunia non olet, sostiene Nicola).
Wow!
Nicola però non sa che nel luglio del 2000, poche settimane dopo essere stato eletto Presidente della Ferpi e avendo appreso che la Philip Morris, nel turbinio di cause intentate contro di lei, aveva unilateralmente deciso di consegnare al Governo Usa – con l’obbligo di renderli pubblici sul sito www.pmdocs.com – tutti i suoi archivi di documenti riferiti alle attività prodotte dai suoi consulenti internazionali, ai quali era peraltro vincolata da rigidi e precisi patti di riservatezza. Appena appresa l’informazione ho non soltanto immediatamente messo a disposizione del Consiglio Nazionale le mie immediate dimissioni, ma ho anche scritto una lettera aperta pubblicata dai quotidiani italiani La Repubblica e l’Unità in cui segnalavo esplicitamente l’url del sito per evitare che chi aveva già provveduto ad avviare una tempestiva campagna diffamatoria contro di me potesse mantenere nascosta la fonte completa, erogando di tanto in tanto e quando lo avesse ritenuto opportuno singoli documenti fuori contesto (proprio come ha fatto Nicola, aggiungendo però un url di sito dove trovare tutto… aggiungo io di provare anche toni falconi, toni muzzi, marcantonio e tutte le combinazioni possibili: si troveranno ulteriori documenti).
Scelsi questo ‘comportamento’ per mettere chiunque vi avesse avuto interesse in condizioni di avere accesso all’insieme dei documenti, testimoni di 20 anni di attività professionali condotte, in larghissima parte, secondo quel principio di etica professionale sul quale mi pare che anche gli altri interlocutori della discussione di queste settimane concordino (non però Patricia Parsons…): non importa per chi lavori, ma come lavori. Scelsi anche, contrariamente ai suggerimenti dei miei legali, di non citare la Philip Morris per danni a causa della violazione contrattuale (cosa che mi avrebbe verosimilmente reso ricco per la vita). La prima decisione fu una decisione di etica professionale, la seconda di etica personale. Cominci a capire, Nicola, la differenza?
Inoltre, le rivelazioni di Nicola sono così poco rivelatrici che non più tardi di quattro settimane fa il sito della CIPR, nell’annunciare l’attribuzione alla mia persona del più importante premio internazionale delle relazioni pubbliche – la medaglia Alan Campbell-Johnson – inseriva fra i diversi documenti anche il mio curriculum in cui era ampiamente menzionata quella medesima storia insieme, ancora una volta, all’indicazione del sito ove attingere all’insieme della documentazione. Non ho ritenuto di pubblicare quello stesso curriculum sul sito Ferpi per evitare una evidente sovraesposizione.
Riassumiamo: per etica personale io ho ritenuto di poter lavorare per i produttori di tabacco non perché sono un fumatore ma perché sono convinto che uno Stato che incamera, anche oggi, direttamente l’80% di quanto i fumatori spendono per acquistare le sigarette possa ben poco ergersi a paladino della salute pubblica vietando il fumo, e che ciascun individuo sia libero di fare le proprie scelte di consumo rispetto a prodotti di cui lo stesso Stato consente il commercio. La questione del fumo ambientale e dei danni che produce sulla salute degli altri rimane, sempre per la mia etica personale, assai controversa poiché ho potuto in tanti anni (e non soltanto rispetto alla questione del tabacco) rendermi conto della disinvoltura con cui le ricerche vengono condotte in funzione dell’interesse dei committenti: siano questi le potentissime agenzie preposte alla tutela della salute o gli scienziati incoraggiati, anche con ingenti risorse finanziarie, da potenti interessi privati. Per queste ragioni, ho ritenuto sul piano dell’etica personale, di poter lavorare per i produttori di tabacco. Nella SCR Associati di quegli anni chi non riteneva di essere coinvolto in questo lavoro lo diceva e lavorava su altro. Oggi, molte agenzie ne fanno invece una questione di principio e quindi dichiarano pubblicamente di non lavorare per cause controverse. E in questo caso non si tratta di etica professionale, ma di etica dell’organizzazione (anche questa distinzione spero ti sia chiara).
Sul piano dell’etica professionale, penso invece che – con diverse sbavature qua e là in ben vent’anni di lavoro – le modalità con le quali Florence ed io abbiamo condotto il nostro lavoro sia stato complessivamente accettabile, anche se non particolarmente degno di elogio. La consuetudine infatti tende ad abbassare le soglie di difesa ed è anche per questo che da sempre sostengo che un consulente non possa/debba lavorare per la stessa causa per tanti anni.
Ma il vero paradigma dell’importanza della questione etica professionale, caro Nicola, sta proprio nella tua nota.
Non soltanto hai condotto un attacco alla persona senza informarti adeguatamente (carenza di professionalità comunicativa), ma dando accesso diretto ad un singolo documento, hai inavvertitamente chiamato in causa altre persone citate in un rapporto di 20 anni fa, certamente a loro insaputa, producendo a loro (o ai loro familiari, per quelli nel frattempo deceduti) un potenziale danno alla loro reputazione al quale non avevi evidentemente pensato (sempre carenza di professionalità ). In sostanza attribuisci al documento un valore probatorio (grazie per la fiducia…), ma potrebbe anche trattarsi (come in molti casi avviene) di millantato credito del consulente. Non ci hai pensato proprio? Ti rendi conto soltanto adesso di quel che hai fatto?
Il nostro è un lavoro delicato e assai più difficile di quel che può sembrare.
E ora, come dovresti reagire? Ecco un altro dilemma etico personale e professionale.
Dal punto di vista personale, potresti mandarmi una email dicendo ‘forse hai ragione, avrei dovuto stare più attento’. Dal punto di vista professionale dovresti incorporare nei tuoi processi l’imperativo (vedi il libro da te irriso e sicuramente non letto della Parsons) di chiederti, prima di prendere una decisione, a chi quell’azione possa produrre danni, anche indirettamente. Fatto questo, potrai anche decidere di procedere, ma almeno lo fai consapevolmente, che è quel che distingue un sia pur intelligente, creativo e brillante dilettante da un professionista.
Con immutato affetto (tmf)