I nuovi tascabili della Einaudi hanno una brutta copertina e hanno abbandonato il celeberrimo struzzo nell’ovale, sostituito da uno sgraziato disegno che sembra un collage di cacche di mosca. Il risultato è che ormai i libri della Einaudi assomigliano a quelli delle altre case editrici.
Qualcuno ha anche sentito il bisogno di inserire uno slogan che descriva il libro come se fosse un pannolino. Nel caso de L’invenzione della solitudine la scelta è caduta infelicemente su: “un delicato ritratto di famiglia”. Viene da domandarsi se chi l’ha scritto si sia preso la briga di leggere il bel romanzo di Auster. C’è molto poco di delicato, infatti, nel ritratto che l’autore fa di suo padre, uomo avaro, assente, e incapace di trasmettere un qualsiasi tipo di sentimento. C’è la constatazione dei fatti, il racconto degli episodi, la scoperta di una ragione, ma nulla di più. E a me non sembra delicata neanche la seconda parte del libro, quando Auster abbandona il racconto strutturato per collezionare una serie di frammenti della sua vita. Qui il libro cambia completamente e, se il Ritratto di un uomo invisibile ci restituisce l’immagina nitida di un uomo, Il libro della memoria è costruito facendo ricorso a un mosaico di immagini, coincidenze e associazioni. Delicata, invece, è l’immagine che l’autore offre di suo figlio:
Non c’è legge di natura che non si possa infrangere: i camion volano, un cubetto diventa una persona, i mostri resuscitano a comando. La mente del bambino ondeggia senza esitare da una cosa all’altra. Guarda, dice, il mio broccolo è un albero. Guarda, le mie patate sono nuvole. Guarda la nuvola, è un uomo. Oppure intingendo la lingua nel cibo e alzando lo sguardo, con un lampo di malizia negli occhi: “Tu lo sai come fanno Pinocchio e il suo papà a scappare dal Pescecane?” Pausa perché il quesito arrivi; poi in un sussurro: “Camminando piano in punta di piedi sulla lingua”.
Paul Auster
L’invenzione della solitudine
Einaudi, 2005
ISBN: 8806174894
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