Toni Muzi Falconi mi ha chiesto di tradurre e commentare l’intervento che Richard Edelman ha tenuto in occasione della premiazione con cui gli è stato assegnato il National Public Relations Achievement Award. Ripubblico il pezzo on line da oggi sul sito di Ferpi:
Mia nonna passava molto tempo davanti alla televisione e le attribuiva molta autorevolezza. “L’hanno detto al telegiornale†era una frase pronunciata con l’intenzione di avvalorare una tesi o confermare una notizia. In quella generazione, c’era un timore reverenziale verso ciò che veniva percepito come istituzione. L’ignoranza fa vedere certe cose come grandi, importanti, insondabili, irraggiungibili. Un’organizzazione, per il fatto stesso di essere istituzione, gode di un’aura che la pone in una posizione di vantaggio rispetto al consumatore, al cittadino, al lettore o al telespettatore, disposto a concedere “gratuitamente” una certa dose di fiducia. Oggi, tale aura si affievolisce man mano che le persone, oltre al benessere materiale, acquisiscono competenze e consapevolezze che le rendono sempre più esigenti e disponibili a valutare soluzioni nuove, quando quelle sperimentate tradiscono le aspettative.
E’ il punto di partenza di Richard Edelman che parla esplicitamente di crisi di fiducia nelle istituzioni (governo, media e affari), travolte da scandali che è sempre più difficile nascondere o insabbiare. E’ uno scenario che coinvolge in modo determinante la comunicazione, perché è verso istituzioni che i relatori pubblici indirizzano i propri messaggi affinché siano amplificati e raggiungano con credibilità e autorevolezza le masse. Non solo: sono sempre istituzioni a essere la fonte di messaggi, che – in definitiva – sono destinati ad avere ancora meno credibilità .
Le persone, dice Edelman, si fidano dei loro pari, di coloro che conoscono e che fanno parte della propria cerchia. E’ il chiaro risultato che emerge dall’Edelman Trust Barometer, uno studio condotto annualmente dall’agenzia. E’ a un nostro pari, a cui attribuiamo competenza su un certo argomento, che chiediamo consiglio per l’acquisto di un prodotto, o con il quale ci confrontiamo per formulare la nostra decisione di voto e così di seguito.
I nuovi media conferiscono nuovi significati alle parole pari e passaparola. La disponibilità di un’infrastruttura di rete come Internet, permette di partecipare a comunità che non hanno confini geografici, demografici o limitazioni legate all’appartenenza a determinati gruppi sociali. In questo senso, Robert Scoble, chief blogging officer di Microsoft, è un mio pari perché siamo entrambi blogger e condividiamo lo stesso approccio alla comunicazione. Lo è più di quanto non lo sia un relatore pubblico italiano, la cui attività si limita all’ufficio stampa o all’organizzazione di eventi.
Parallelamente, poiché Internet ha reso marginali i costi di memorizzazione e distribuzione delle informazioni, il passaparola è diventato un patrimonio di conoscenza, che viene costantemente alimentato grazie a fenomeni come i blog. Il mio blog contiene molti articoli che riguardano prodotti e servizi che ho acquistato. Alcuni di questi articoli hanno ricevuto molti commenti da parte di altri utenti, che hanno confermato o smentito le mie impressioni e le mie opinioni. In altri termini, in certe occasioni, le cose che ho scritto su un certo argomento hanno innescato una conversazione, che si è anche propagata in altri siti. Queste conversazioni rimangono memorizzate nei motori di ricerca e divengono un patrimonio di conoscenza a disposizione di utenti, consumatori, elettori, etc.
Per un relatore pubblico è un’opportunità e una minaccia allo stesso tempo. La minaccia nasce dal fatto che sarà sempre più difficile trincerarsi dietro i giochi di parole. Mi domando, ad esempio, quanto possa essere sostenibile la scelta di una società come Disney, che, costretta a pubblicare un risibile codice di condotta per giustificare l’uso di fornitori cinesi che non hanno alcuna remora a schiavizzare i lavoratori con la connivenza del governo, lo fa mettendo in linea il testo in forma di immagini affinché non sia indicizzato dai motori di ricerca.
Insomma, penso che sarà sempre più difficile per i relatori pubblici fare da paravento a pratiche aziendali discutibili grazie alla capacità di influenzare l’agenda dei media tradizionali. Edelman insiste molto sui concetti di trasparenza, onestà , integrità ; sulla necessità di avere uno scambio franco di idee e di non abbandonare la verità .
Sono considerazioni che vanno al di là dei tecnicismi, della capacità di usare un aggregatore di feed Rss (abilità che diventerà comune come lo è diventato l’uso della posta elettronica) o di confezionare un podcast. E’ una questione di atteggiamento e di disponibilità a mettere in discussione il proprio ruolo: da alfiere di una reputazione troppo spesso artificiosa a partecipante a un dialogo franco e onesto tra organizzazione e i suoi interlocutori.
One Response
Interessante considerazione di Toni Muzi Falconi sul sito Ferpi, che trae spunto dal mio commento e dall’esperienza a un seminario di Digital PR:
Se è vero che per molti relatori pubblici di oggi l’attività quotidiana si basa sempre su un mix di relazioni con i media e di organizzazione di eventi orientati ad applicare un paradigma comunicativo prevalentemente unidirezionale e asimmetrico, è altrettanto vero che per gran parte degli operatori di marketing il paradigma professionale applicato si basa su conoscenze maturate comunque prima della rivoluzione indotta dalle tecnologie della comunicazione e della nuova consapevolezza del consumatore.
Dobbiamo allora attendere il passaggio di generazione ai piani alti delle organizzazioni?
Non mi pare praticabile, almeno qui in Italia, ove i giovani incontrano più difficoltà a fare carriera che in altri Paesi, e comunque non mi sembra che il Paese abbia la possibilità di attendere oltre.
Leggi l’articolo di sul sito di Ferpi