Oggi, Nova pubblica un articolo di Luca Conti, che propone alcune riflessioni sul rapporto dei quotidiani italiani con la Rete. I risultati sono in qualche modo scontati: molti editori stranieri (americani in testa) sono più avanti di quelli nostrani e permettono ai lettori di partecipare ai propri siti tenendo una conversazione attorno agli articoli pubblicati.
Da quanto scrive Luca, sembra che la difficoltà maggiore stia nell’accettare il fatto che un lettore possa mettere bocca su quello che ha scritto un professionista. Altre forme di partecipazione, infatti, appaiono più allettanti: i forum (attivi sul Corriere della Sera e l’Unità) oppure la pubblicazione di audio e video prodotti dagli utenti (è il caso di Repubblica RadioTv ed è probabile che questo contributo sia considerato accettabile perché non entra in competizione con quelli prodotti dalla redazione).
Andando oltre il censimento di blog, forum e altri strumenti di partecipazione, mi sembra utile proporre un ampliamento del discorso.
Nel mondo dei media industriali c’è una separazione abbastanza netta tra chi si occupa di quotidiani, settimanali, riviste di approfondimento, televisione e radio. Ovviamente un autore può scrivere per un quotidiano e gestire una trasmissione radiofonica così come un editore può possedere un giornale e una televisione. Però i singoli prodotti hanno una loro identità ben precisa. Nel mondo dei nuovi media questa suddivisione non ha molto senso perché nella stessa pagina web trovano spazio l’articolo (notizia), i commenti (riflessione sulla notizia), uno o più file audio ed eventualmente uno o più file video.
Facciamo un esempio e prendiamo l’ultimo divertente incidente capitato a Bush: un tecnico dimentica di spegnere il microfono di una giornalista della Cnn e la sua conversazione privata con una collega (farcita di apprezzamenti per le capacità amatorie del marito e invettive contro la cognata) si sovrappone al discorso del presidente.
Nel mondo dei media tradizionali è plausibile che vi sia una “copertura” di questo genere: nel quotidiano, compare l’articolo con una fotografia della giornalista; nel settimanale, il tuttologo di turno scrive un pezzo divertente facendo qualche banale osservazione tra la cultura americana e quella italiana; alla radio fanno sentire un pezzo dell’audio incriminato; in televisione trasmettono le immagini di George ignaro di tutto; grazie al passaparola, la notizia diventa oggetto di una chiacchiera faceta davanti alla macchinetta del caffé.
Nel mondo dei nuovi media tutto ciò è distribuito in formato digitale e può tranquillamente convivere nella stessa pagina web: il giornalista pubblica la notizia completa di audio e video; il tuttologo aggiunge le sue note di colore; gli utenti discorrono della cosa e alimentano il passaparola grazie a commenti, voti, chat, instant messaging, social bookmark e chi più ne ha più ne metta.
Per dirla con Jay David Bolter (ma prima di lui, se era già accorto Marshall McLuhan): c’è un processo di rimediazione, per cui i vecchi media vengono inglobati nei nuovi media. Questo, di fatto, rende obsolete le nozioni di giornale quotidiano, rivista settimanale, programma radiofonico o trasmissione televisiva.
Parlare di salute mentale, serenamente
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