Attenzione, l’America ti ascolta!

Leggo sul Corriere.it di oggi che il governo americano sta varando un programma di analisi dei media di tutto il mondo per “identificare potenziali minacce agli Stati Uniti” (Usa, Grande fratello contro “opinioni ostili”).
I software che fanno sentiment analysis non sono certo una novità e sono già utilizzati in alcuni contesti, come l’analisi degli articoli finanziari per capire qual è l’orientamento della stampa specializzata attorno a un certo titolo. E’ una tecnologia che mi ha molto incuriosito quando l’ho vista all’opera, anche se non ne sono rimasto particolarmente impressionato.
Nella demo a cui ho assistito, si prendeva in considerazione proprio il sentiment attorno alla decisione di Bush di invadere l’Irak. I risultati erano piuttosto scontati: semaforo verde e giallo per i media americani, giallo e rosso per quelli europei, decisamente rosso per le testate di alcuni paesi come la Francia.
Quindi, se da un certo punto di vista non mi aspetto grandi rivelazioni da un’analisi ad ampio spettro, sono invece preoccupato dall’uso di tecnologie di questo genere per analisi più puntuali per almeno due motivi: a) i dati devono essere interpretati ed è fin troppo facile confondere la critica legittima a un governo con l’antiamericanismo – chi non è con me è contro di me; b) la tecnologia è fallibile e manipolabile eppure continua ad avere un’aura che porta molte persone a considerare i risultati provenienti da una macchina come affidabili, autorevoli o definitivi.

Technorati Tags: ,

2 Responses

  1. Condivido le tue perplessità. Aggiungo che, a mio avviso, c’è un altro pericolo che si affianca alla fallibilità del software o alla degenerazione del suo utilizzo: la natura cognitiva del suo fruitore!

    L’esigenza di un monitoraggio di questo tipo nasce da un pregiudizio fobico, sebbene in alcuni casi giustificato, che mira ad essere confermato con un’analisi globale.
    A prescindere dalla validità della metodologia, che tu hai addotto come focus della tua perplessità, io pongo attenzione sulla natura conservativa del pregiudizio e sull’innegabile propensione del sistema cognitivo umano ad organizzare le proprie credenze non solo secondo un criterio di verità, ma anche secondo un metro di convenienza.

    In questo senso ogni dato fornito da un computer viene astratto dal mondo in cui abita per essere trapiantato in un sistema di nozioni, che ha il pregiudizio iniziale del programmatore/statista come baricentro di coerenza.

    C’è una vera e propria “transustanziazione” delle nozioni fornite, nel loro passaggio dal mondo alla mente del ricercatore, che delegittima interamente il criterio di oggettività del software stesso.

    Un’analisi del genere potrebbe essere interessante, ad esempio, se applicata alla poesia, per riscontrare a grandi linee la forma mentis di un artista e comprenderne in modo più intimo il sostrato creativo. In un contesto, cioè, dove non si vuole confermare una teoria pregiudiziale, ma si parte effettivamente da un “ganzfeld”, da una situazione di totale neutralità epistemologica.

    Ma, è anche vero, l’unico contesto dove un simile supporto sarebbe legittimo, è l’unico contesto che ne rifiuta l’impiego, perchè dissacrerebbe con un accanimento scientifico quella religiosità (in senso lato) che è l’essenza stessa della poesia e del mito.