Papà 2.0

Ludovica ha una settimana e passa le sue giornate placidamente tra la culla e la tetta. In questo assomiglia molto a sua sorella: anche lei è sempre stata molto tranquilla. C’è da dire che Patrizia ha deciso in entrambi i casi di assecondare i ritmi delle bimbe. Nessun orario prefissato per la pappa o per la nanna o per la cacca. Nessun tempo prestabilito per la poppata che – nel caso di Beatrice – poteva durare anche ore: da quanto ci hanno spiegato le ostetriche, soprattutto all’inizio, la suzione serve per stimolare la produzione di latte e quindi non sembra avere molto senso limitarne la durata. Certo, l’impegno per la mamma è totale e non c’è spazio per fare altro, però mi sembra ancora più difficile spiegare a un neonato che esistono degli orari e che non può avere fame (e di conseguenza non ha senso che pianga) nell’intervallo tra un poppata e l’altra.
Nei primi mesi di vita di un bambino, il ruolo del padre è assolutamente ancillare: il suo compito di fatto è fornire un supporto logistico, occupandosi del cambio di pannolino e di poco altro. C’è, però, una sostanziale differenza tra la prima e la seconda figlia. Alla prima gravidanza si è molto concentrati sulla novità legata alla gestione della gravidanza stessa: nel corso dei nove mesi si fanno analisi su analisi, si indaga e si esplora. Ogni passaggio è una novità e porta con sé ansie e preoccupazioni. Quando finalmente arriva la creatura, c’è la gestione del senso di inadeguatezza di fronte a una responsabilità così importante: un bambino dipende in tutto e per tutto dai genitori, dal benessere fisico a quello psicologico. Poi, pian pianino, ci si rende conto che si può fare: si impara a decodificare il pianto e a distinguere il richiamo a sirena che annuncia la fame dai lamenti che denunciano il mal di pancia o il fastidio per la cacca nel pannolino. L’esperienza rassicura e rende meno ansiosi.
Quando arriva la seconda figlia, i problemi sono altri. La gestione del neonato non è più un problema perché la routine è già nota e le competenze sono state acquisite. La novità è rappresentata dal confronto tra le sorelle. Durante la gravidanza, Beatrice ha sostanzialmente ignorato la questione, anche se – man mano che la pancia cresceva – le abbiamo spiegato che presto sarebbe arrivata una sorellina e che la mamma sarebbe dovuta andare dal dottore per qualche giorno. Poi, è arrivato il momento e mamma e papà sono scomparsi per un’intera giornata: deve essere un momento angosciante per una bimba di poco più di due anni, nonostante tutte le rassicurazioni.
Il giorno dopo, Beatrice era arrabbiatissima, voleva stare solo con la nonna e faceva tantissimi capricci. Ho letto su una rivista di pediatria che i capricci hanno una ragione apparente (l’altalena, un gelato) e una ragione reale (bisogno di essere rassicurati sull’affetto dei genitori, necessità di scoprire quali sono i limiti e così di seguito). Quindi concentrarsi sul capriccio in sé soddisfacendolo o negandolo serve a poco: se un bambino che si rifiuta categoricamente di fare una cosa sta comunicando un disagio, allora tanto vale prendere il toro per le corna cercando di parlare del problema vero.
Immagino l’obiezione: ma cosa vuoi che capisca un bambino di due anni? Me lo dicono in tanti, soprattutto i miei amici che mi sfottono perché dicono che io ho la pretesa di spiegare cose che un bambino non può capire. Sarà, ma tentare di spiegare mi sembra meglio di ignorare o, peggio, di intimidire e sculacciare (c’è sempre qualcuno che cerca di convincermi del valore pedagogico delle botte: mazze e panelle fanno i figli belli, si dice al sud).
Dicono che i primogeniti siano gelosi dei fratelli più piccoli, ma mi sembra una facile banalizzazione: personalmente, mi sono fatto l’idea che sono terrorizzati dal perdere l’amore dei genitori e soprattutto della madre. Il problema non sarebbe quindi la quantità di tempo che mamma e papà dedicano alla nuova arrivata, ma il motivo di questa presenza indesiderata: che bisogno c’è di un altro bambino? Deve dipendere dal fatto che ho fatto qualcosa di male e quindi mamma e papà mi stanno abbandonando e non mi vogliono più bene! Ecco, io penso che nella testa di Beatrice siano passati dei pensieri di questo genere, magari non in questa forma, ma la sostanza deve essere stata questa. Tanto che quando le ho chiesto esplicitamente se aveva paura che io non le volessi più bene, mi ha risposto semplicemente “sì”. E lo stesso ha fatto con la madre.
Se quello che sto dicendo ha un senso (e non rappresenta il delirio di un padre in ansia da prestazione), allora mi sembra di capire che la paura dell’abbandono si ripresenta in modo ricorrente e che, quindi, è necessario fugarla in modo esplicito e ripetutamente. Per esempio, Beatrice ha tentato di sostituirsi a Ludovica in più di un’occasione, salendo nella carrozzina o chiedendo di prendere il latte della mamma ed è, ovviamente, molto infastidita dalla quantità di tempo che Patrizia dedica all’allattamento della piccola. Quando viene rassicurata si rasserena, ma poi ripete il comportamento alla ricerca di una nuova rassicurazione.
A questo punto mi fermo: il senso di questo post è raccontare un’esperienza per condividerla e chiedere lumi a chi ci è già passato 😉 Attendo commenti e suggerimenti…

12 Responses

  1. non sono padre ma ho letto molto seriamente il tuo post. Grazie.
    Mi permetto però lo stesso una battuta. Passi la nanna e la pappa, ma un orario per la cacca non riesco a imporlo nemmeno a me stesso! 🙂

  2. ho due figli (maschi) di 6 e 8 anni. Ho vissuto molte delle esperienze che racconti. Mi sembra che tu abbia un approccio un po meccanico. I bimbi piu’ grandi, ovviamente, si sentono defraudati e fanno un sacco di scene, di fatto rivogliono tutto l’affetto dei loro genitori, e non sono minimamente disponibili a condividerlo. Poi a tratti saranno dolcissimi e innamorati del fratellino nuovo, salvo poi fare dispetti.
    I capricci sono il minimo che puo’ capitare e continueranno :-). Insomma alla tua bimba grande avete fatto un dispettissimo, ma vi ringraziera’, fra qualche anno quando avra’ qualcuno con cui giocare sempre. Mi limiterei ad essere estremamente accogliente, la bimba fa capricci per essere accolta e contenuta, per essere sicura che ci siete ancora e le volete bene. E voi, ovviamente, ci siete ancora e le volete bene, bisogna solo, con santa pazienza, continuare a trasmetterglielo, anche svariate volte al giorno. Savo il fatto che, siccome siamo esseri umani, ciascuno (bambini e genitori compresi) arriva fin dove puo’.
    In bocca al lupo

  3. Ho pensato anche io come sarebbe fare un altro figlio tra qualche tempo, magari quando Rebecca avrà 3 o 4 anni…e devo dire che quello di cui parli è una cosa da mettere in conto…e comunque, secondo me, hai ragione…meglio provare a spiegare…i bambini apprezzano quando li si tratta da “grandi”…in fondo può sembrare che non capiscano, ma invece il messaggio arriva…

  4. Premetto che non sono genitore e ho apprezzato moltissimo quello che hai scritto.
    Condivido l’approccio delle spiegazioni dirette, penso che sia il miglior metodo unito a due fattori: evitare segnali ambigui (esempio sgridare il figlio per qualcosa e dopo 5 min. abbracciarlo come se non lo vedessi da anni), chi comanda siete comunque voi e nel limite del possibile e della gestione “biologica” i figli devono adeguarsi.

  5. Bello! Anche io non sono papà (zio fra qualche giorno però 😉 ). Ho letto con molta attenzione il tuo post! Complimenti e benvenuta Ludovica!

  6. Nel nostro piccolo, abbiamo cercato di evitare l'”effetto Pavlov”, ovvero di cedere troppo facilmente alle richieste del grande quando sono arrivati i gemellini: il rischio dell’associazione “metto il broncio o faccio i capricci THEN ricevo le attenzioni che voglio” può essere difficile da rimuovere… 😉
    Sul fatto che parlarci non serva… i bambini capiscono molto più di quanto molti non siano portati a pensare (esperienza personale).

  7. noi quando è nato Alberto abbiamo detto a Pietro (che all’epoca aveva 3 anni) che appunto sarebbe arrivato questo bimbo nuovo e che gli avrebbe portato un regalo.
    il giorno della nascita io sono andato a prendere Pietro e insieme siamo andati a prendere un regalo per Alby.
    quando siamo stati in ospedale Pietro ha prima dato un’occhiata al fratello e poi si è messo a giocare con il camion dei pompieri che Alby gli aveva portato.
    questo piccolo stratagemma ha aiutato a stemperare l’impatto del nuovo arivato nella vita di Pietro, ma comunque qualche problemino una volta a casa c’è stato, ma niente di grave.
    adesso che Alby ha quasi 6 anni il problema è limitare la sua competitività nei confronti del fratello più grande, competitività che lo ha portato a imparare a leggere e a scrivere a 4 anni e a non voler guardare i Teletubbies ma DragonBall…

  8. aggiungo al mio commento precedente una frase che mi ha detto un amico a proposito dell’arrivo del secondo figlio: “passare da un bambino a 2 è come passare da avere un gatto a gestire uno zoo!” nella mia esperienza mai frase fu più azzeccata…

  9. mazze e panelle fanno i figli belli, si dice al sud

    saprai anche (allora) che si dice anche:

    PANELL E MAZZ FASC’N L FIGGHIE PAZZ

    🙂

  10. E’ dura rassegnarsi a non esser più “unici”…Ma poi passa (soprattutto se si fabbrica il terzo ;-* )

  11. @Mitì. Fammi prima abituare alla responsabilità al quadrato, prima di pensar di poter assumere anche una responsabilità al cubo 😉