Nonostante condivida sostanzialmente la posizione di Piergiorgio Odifreddi, trovo che il suo libro Perché non possiamo essere cristiani sia piuttosto noioso: l’autore, infatti, si dilunga in decine di citazioni e precisazioni che – alla lunga – appaiono un fastidioso esercizio di esibizionismo. A ciò si aggiunga il tono ironico, che in alcuni passaggi diventa palesemente sarcastico, che poco si addice alla trattazione dell’argomento (basti pensare che il primo capitolo si intitola “cristiani e cretini”).
Però, lo ripeto, il sottoscritto concorda con la tesi dell’autore: non si può essere cristiani e meno che mai cattolici. Almeno per quattro motivi. Il primo, di ordine generale, riguarda l’esistenza di un dio, che non può essere dimostrata né negata: l’unica posizione ragionevole mi sembra quella dell’agnosticismo. Il secondo riguarda Cristo e le storie fantastiche che lo riguardano: chi è cristiano le deve credere tutte come vere, dalla nascita da una vergine, ai vari miracoli fino alla resurrezione. Il terzo riguarda il cattolicesimo, come caso particolare del cristianesimo. Qui, alle narrazioni fantastiche su Cristo, si aggiungono ulteriori cose che occorre credere. Come ha detto il cardinale Ratzinger nel 1998, le dottrine che la chiesa cattolica impone ai suoi fedeli sono almeno le seguenti (il brano è tratto dal libro di Odifreddi):
I diversi dogmi cristologici e mariani; la dottrina dell’istituzione dei sacramenti da parte di Cristo e la loro efficacia quanto alla grazia; la dottrina della presenza reale e sostanziale di Cristo nell’eucarestia e la natura sacrificale della celebrazione eucaristica; la fondazione della chiesa per volontà di Cristo; la dottrina sul primato e sull’infallibilità del romano pontefice; la dottrina sull’esistenza del peccato originale; la dottrina sull’immortalità dell’anima spirituale e sulla retribuzione immediata dopo la morte; l’assenza di errori nei testi sacri ispirati; la dottrina circa la grave immoralità dell’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente.
Infine, il quarto e, forse, più importante motivo: la chiesa cattolica propone un’etica inaccettabile sotto molti punti di vista e ne propone un’applicazione fin troppo flessibile che la fa diventare una copertina che si può tirare nelle direzioni che fanno più comodo.
Si pensi alle inflessibili posizioni in merito ad aborto e fecondazioni assistite a cui non corrisponde un analogo rigore quando si parla di guerre che, in certe circostanze, sono invece ammesse. Senza considerare, a titolo di mero esempio, che lo Stato Città del Vaticano ha applicato la pena di morte fino al pontificato di Pio IX, nell’ottocento; tale pena è stata abolita nel 1969 e cancellata completamente solo nel 2001. Ma il comandamento sta lì dall’antico testamento e dice: non uccidere.
Inoltre, sono eticamente inaccettabili: la discriminazione sistematica delle donne (a partire dalla loro generazione in quanto costola di un uomo per arrivare all’esclusione dal sacerdozio), la considerazione del sesso come peccato o l’omofobia, tanto per citare gli argomenti che vengono usati più frequentemente. A questi io vorrei aggiungere un tema, che mi sembra sottovalutato: la differente dignità di cui godono genitori e figli. Sia nel vecchio che nel nuovo testamento, i primi sono spesso carnefici e i secondi vittime: Dio manda il figlio a morire sulla croce e chiede ad Abramo di sacrificare Isacco, il figliol prodigo è riammesso nella casa del padre solo dopo un atto di sottomissione. Insomma, il cristianesimo non ama i figli e spesso il sacrifica o li mortifica in nome di presunti obiettivi educativi o purificatori.
Questa idea ha ispirato secoli di pedagogia nera, quella pedagogia che usa la mortificazione fino alle botte come sistema di educazione e il rispetto dovuto ai genitori senza bisogno di reciprocità come valore: lo racconta molto meglio di quanto possa fare io Alice Miller nei suoi libri.
Bene, a me questi sembrano motivi sufficienti per non essere cristiani e meno che mai cattolici. E’ preferibile cercare un dialogo con dio – ammesso che esista – per conto proprio piuttosto che affidarsi alla mediazione di questi discutibili ermeneuti della parola divina.
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