Alla fine di agosto sono stato in Trentino per partecipare a VeDrò, un thinktank di quarantenni sul futuro dell’Italia. L’evento è durato due giorni e si è chiuso con una plenaria durante la quale Gianni Minoli e Marco Roccetti hanno affrontato il tema dei vecchi e dei nuovi media. In un post su questo blog, ho criticato duramente entrambi gli interventi: il primo era a mio avviso anacronistico, il secondo superficiale. Mantengo senza riserve il giudizio sull’intervento di Minoli, ma ammorbidisco quello sull’intervento di Roccetti, che qualche giorno fa mi ha scritto una lunga email che pubblico integralmente di seguito. Ritornerò sull’argomento con calma. Nel frattempo, vi invito a leggere come risposta interlocutoria questo mio breve scritto sui media sociali: I media sociali sull’orlo del caos.
Caro Nicola,
sono Marco Roccetti e mi piacerebbe approfittare dell’accoglienza del tuo blog per provare a replicare alla severa recensione che hai fatto del mio intervento a Drò sugli egoismi delle moderne tecnologie
dell’informazione. Ovviamente, replico perché ci tengo a spiegarmi meglio (forse a Drò non l’ho fatto), non certo perché mi ritenga offeso dalla tua recensione che anzi ritengo rispettabilissima.
Prima di iniziare, però, vorrei fugare la tua preoccupazione di esserti imbattuto in un moralista il quale, conoscendo cosa sia bene e giusto, si perita di girare il mondo per rivelare le verità assolute che possiede. Non è ovviamente vero. Sono solo un oscuro ricercatore universitario che da più di vent’anni si occupa di informatica, del web e delle tecnologie
correlate, tutto qui. Detto ancora più semplice, studio di informatica; trovo, quando mi riesce, qualche soluzione buonina a qualche problema tecnico, la pubblico su riviste del settore, la presento ai convegni scientifici, e ovviamente realizzo programmi e sistemi (una veloce ricerca su Google te lo confermerà ).
Dunque, pur essendo in qualche senso un tecno-fanatico, una mezza cosa dal mondo della ricerca, credo di averla imparata ed è questa: se quando cerchi soluzioni a problemi più o meno complicati, ometti di esercitare continuamente una funzione di critica, non solo su ciò che fanno gli altri, ma soprattutto su quello che stai facendo tu, per quanto te ne sia innamorato, ecco in quel preciso momento ti stai infilando nella tipica situazione dalla quale non esce nulla di innovativo.
L’idea che presentavo a Drò parte proprio da uno stimolo di questo genere, ed in particolare da una critica/considerazione che Tim O’Reilly (uno dei leader ideologici del Web 2.0, nonché inventore del termine stesso) esprime in un suo scritto rispetto al celeberrimo concetto di architettura di partecipazione, concetto sul quale tutte le applicazioni della seconda ondata del Web (siano esse Wikipedia, craiglist, youtube, o cos’altro ti piaccia) sono fondate. Te la riporto pari-pari, quotandolo:
The architecture of the internet, and the World Wide Web, as well as of open source software projects like Linux, Apache, and Perl, is such that users pursuing their own “selfish” interests build collective value as an automatic by product.
Capito il concetto che sta alla base di tutte le applicazioni che t’appassionano? Il valore collettivo che si determina da ognuna di queste applicazioni si ottiene come sottoprodotto delle attività egoistiche condotte da ogni singolo individuo che vi partecipa! (E i primi a intuirlo e a farlo fruttare sono stati proprio i mitici inventori di Google, pensa infatti a come funziona l’algoritmo PageRank che ne è la base).
Ora, quindi, da informatico non mi sottrarrò certo al rito di pronunciamento del mantra che giustamente vuole Internet rappresentata come l’invenzione epocale che ha permesso l’esplosione della velocità e la contrazione dell’ampiezza e della distanza con cui si può accedere all’informazione. E nemmeno disconoscerò il fatto che il Web 2.0 ha fatto il resto, rendendo i dati indipendenti da chi li ha generati e dunque usufruibili per creare una quantità incredibile di nuovi servizi integrati. Nemmeno negherò l’archetipo che vuole che Internet sia quello strumento capace di creare nuovi spazi di libertà , fare emerge nuove strutture sociali, dando voce a qualunque opinione, consentendoci di farci risparmiare tempo e denaro, di assisterci nei nostri investimenti, scelte, perfino cure mediche e rapporti interpersonali. Neppure, infine, starò qui ad annoiare ricordando che c’è anche chi muove a queste nostre amate tecnologie le oramai tante volte ripetute accuse riguardanti le più
svariate questioni: dalla sicurezza alla chiusura verso le categorie sociali più svantaggiate, dalla pedo/pornografia al fenomeno della chiusura interna tra gruppi di utenti omogenei (cyberbalkanization), etc
No proprio no! Per quanto tutto quanto detto nel paragrafo precedente sia probabilmente vero, io ed altri nel mondo tentiamo di andare oltre, e proviamo a cogliere la sfida insita nelle parole di O’Reilly.
Ovvero, prendendo atto che quasi tutto l’enorme potenziale tecnologico e di intelligenza collettiva a disposizione sul Web viene dissipato in sacche di egoismo (e non sto usando questo termine in senso moralistico, ma letterale; forse ti piacerebbe di più il termine di egocasting che molti miei colleghi utilizzano a proposito) con scarsa utilità pratica per il resto della società , e che il motore portante del successo di tutte queste iniziative si trova sempre in motivazioni di carattere egocentrico (ancora nessun intento moralistico), quali guadagno monetario, autocelebrazione, svago/intrattenimento… Ecco preso atto di tutto ciò, l’idea che raccontavo a Drò era che è tecnologicamente possibile sfruttare l’uso che noi tutti facciamo delle applicazioni selfish del Web raccogliendone le “scorie” da queste prodotte (e.g., banda o memoria non utilizzata, informazioni generate, profili utente, tags…) da re-impiegare in applicazioni di utilità sociale.
Non so se ho spiegato bene il punto: tu, io, chiunque altro continuiamo, senza nessun tipo di impedimento o censura, a usare le applicazioni che più ci piacciono o servono, ma contemporaneamente una parte del valore collettivo generato da queste attività , e altrimenti inutilizzato, oltre che a dare una qualche forma di soddisfazione a noi stessi, e detto tra parentesi ad arricchire Brin e Page o chi per loro, ritorna in circolo per essere restituito, almeno parzialmente, ad un impiego pubblico, comune e, lasciami finalmente usare il termine, altruistico.
Questo nuovo paradigma altruistico di utilizzo della tecnologia potrebbe creare le condizioni per cui, paradossalmente, il traffico cittadino aiuti i pedoni, le persone che fanno jogging siano di supporto ad anziani colpiti da malore, il cittadino curioso fornisca strumenti per aiutare i mezzi di soccorso, e gli autoveicoli aiutino a controllare lo smog cittadino. Tutti esempi che ho discusso su a Drò ma che evidentemente nulla hanno detto alla tua sensibilità (la colpa e’ sicuramente la mia perché non sono stato efficace nella presentazione).
In definitiva, e chiudo, l’idea che stiamo portando avanti è che è possibile sfruttare le potenzialità di Internet e delle tecnologie ad esse correlate al fine di accrescere la solidarietà sociale e favorire la costituzione di una nuova, altruistica Società dell’Informazione. I vantaggi derivanti dalla diffusione epidemica dell’informazione potrebbero finalmente divenire facilmente accessibili a chiunque e fornire utilità sociale alla comunità intera.
E’ possibile ovvero, ispirati al paradigma del nuovo Web, creare servizi ed applicazioni altruistiche, in cui le risorse e le informazioni disseminate in rete possano essere utilizzate per scopi a carattere sociale proprio grazie alla loro diffusione variegata in contesti diversi.
E tutto ciò senza rompere le scatole a nessuno, semplicemente facendo sì che il singolo uso della tecnologia per raggiungere i propri obiettivi (uso che bisogna salvaguardare e che non critico assolutamente) venga re-indirizzato da uno strato di gestione e diffusione delle informazioni collettive, facendo emergere una finalità altruistica.
Tutto ciò ti pare scontato e superficiale? Ripensaci, va la’.
Saluti
Marco Roccetti
Technorati tags: vedrò, marco+roccetti, web20
One Response
Gentile Nicola,
in questo ed in altri post e nel pdf “I media sociali sull’orlo del caos”, ho potuto notare l’attenzione per due tematiche che mi stanno particolarmente a cuore.
La prima, a cui VeDrò cerca di dare una risposta, è la difficoltà di partecipazione da parte dei giovani alla vita pubblica italiana. Ho 29 anni quindi mi sento chiamato in causa. Quante delle persone che ci rappresentano conoscono un blog o un forum? Una analisi seria della situazione è presentata da Delzìo in “Generazione Tuareg”.
La seconda è la complessità . Orlo del caos, auto-organizzazione, reti, sono tutti concetti che devono permeare la futura classe dirigente. Possono dare strumenti per un decision-making più attento, meno semplificante. E al riguardo, spero mi perdonerai la pubblicità , vorrei segnalarti il libro di cui sono co-autore: “Viaggio nella complessità “, appena edito da Marsilio.
Chiudo con un pensiero. La vita è lungi dall’essere in equilibrio, l’equilibrio appartiene solo alle cose morte. Non vorremo morire di equilibrio vero? Da qui, forse, è il caso di partire, verso l’orlo del caos…