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Corporate blogging: parte 3

Eccoci arrivati al terzo e ultimo post sul corporate blogging. In questa puntata parleremo di internal blog, employee blog e di product management blog.

7. Internal blog
I blog interni all’azienda possono avere molti scopi diversi: per esempio, possono essere usati da gruppi di lavoro come diario per la gestione dei progetti, oppure da individui per rendere più comprensibile agli altri la propria identità personale e professionale. Un’azienda che permette ai propri dipendenti di avere un blog individuale riconosce implicitamente che un’organizzazione è fatta innanzitutto di persone. Non è un passaggio scontato: l’individualità e il merito personale non sono sempre valori che vengono coltivati, anzi. In molte grandi aziende, soprattutto quelle che hanno una cultura verticistica oppure che operano in mercati fortemente regolamentati e poco dinamici, può essere molto più importante l’appartenenza a una cordata che non la capacità di fare. In questi contesti, essere riconoscibili e rendere palese il fatto di essere dei leader informali (coloro a cui gli altri si rivolgono quando hanno dei problemi) può risultare controproducente. Come si dice: vola basso e schiva il sasso!
Invece, le organizzazioni che fanno della valorizzazione delle competenze e della condivisione della conoscenza un fattore cruciale per sopravvivere in un mercato fortemente competitivo, non dovrebbero avere particolari turbe a permettere ai propri dipendenti di aprire dei blog interni sia individuali che di gruppo.
A mio modo di vedere, infine, l’internal blogging dovrebbe essere propedeutico all’employee blog: lo si può infatti considerare una palestra di conversazione, utile a far familiarizzare le persone con lo scambio informale di opinioni. Certo, all’interno dell’azienda è difficile che si creino dei conflitti o che vi siano fenomeni di trolling; ciò non di meno questo rimane un prezioso allenamento in vista di essere catapultati nel mondo vero, quello in cui c’è anche gente che non ama le cose che fai e non si fa problemi a dirtelo.

8. Employee blog
Uno dei totem della comunicazione d’impresa è il cosiddetto one company one voice: l’azienda ha una sola voce e si presenta al mondo come un monolite. Purtroppo, questo approccio sembra essere assai poco perseguibile quando si ha a che fare con i media sociali. Questi ultimi, infatti, sono basati su una struttura reticolare: una ragnatela che connette un numero assai vasto di nodi che hanno una propria personalità. In questo contesto, la comunicazione non può che essere individuale, perché ciascun nodo con cui l’azienda si connette è diverso da tutti gli altri.
L’aspirazione a comunicare con una sola voce diventa di fatto impraticabile, se non addirittura controproducente. Nel mondo dei media sociali, chi si occupa di comunicazione non può far finta che i suoi interlocutori siano tutti uguali e – inevitabilmente – non può gestire le relazioni con ognuno di essi. Ammettere che i propri impiegati abbiano un blog di fatto significa ampliare lo spettro di competenze dei relatori pubblici. Essi non possono più governare le relazioni per conto di altri, ma devono fare in modo che i nodi interni all’organizzazione si connettano in prima persona alla propria rete di stakeholder fornendo loro gli strumenti e le conoscenze per gestire tali relazioni. Come dire: non più giocatori, ma allenatori.
Tuttavia, il vantaggio di avere una rete di persone che mostra il proprio attaccamento all’azienda e la propria passione ripaga del rischio che alcuni blogger possano andare sopra le righe. Basta pensare a Robert Scoble.

9. Product management blog
Il product managemet blog rappresenta probabilmente l’uso più sofisticato e aperto di corporate blogging: si tratta di coinvolgere gli utenti nel processo di costruzione del prodotto o del servizio. Anche in questo caso non è affatto un passaggio banale: il problema principale è probabilmente rappresentato dalla tutela della proprietà intellettuale. Abbiamo due estremi: da un lato, per esempio, Apple che risponde alle lettere di suggerimento con una diffida per paura che qualcuno possa avanzare delle pretese dall’azienda. Dall’altro le start-up come PassPack che usano i propri blog per sopperire alla cronica mancanza di denaro da allocare in ricerca e sviluppo.
In questo contesto, i product management blog dovrebbero avere un approccio open source: ha senso condividere tutto quello che non rappresenta elemento distintivo brevettabile, mentre è conveniente condividere e rendere aperto tutto quello che può essere replicato senza danno per l’azienda.

Il discorso sul corporate blogging non si esaurisce certo in tre post e mi rendo conto che quanto ho scritto finora può rappresentare il canovaccio per un ragionamento più approfondito e per una ricerca. Spero di avere il tempo di metterla in piedi 🙂

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