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Spazio pubblico digitale

Giovedì scorso, Nova 24 ha ospitato un mio commento sulla vicenda dei redditi messi online dall’agenzia delle entrate. Per chi se lo fosse perso:

L’Agenzia delle entrate mette online i redditi degli italiani e molti si indignano: evidentemente non sanno che i propri redditi sono già pubblici e che chiunque può conoscere quanto guadagna il proprio vicino di casa recandosi al suo comune di residenza. Il Codacons minaccia cause miliardarie. Beppe Grillo, che nel 2005 ha dichiarato oltre quattro milioni di euro, va ben oltre e con la solita veemenza accusa l’agenzia di agire su ispirazione delle mafie, invitando i suoi sostenitori a scrivere al futuro ministro dell’economia “perché ristabilisca le regole della convivenza civile e blocchi l’accesso a chiunque di dati sensibili privati”.
Peccato che i redditi non siano né un dato privato né un dato sensibile, come si affanna a spiegare in questi giorni il professor Stefano Rodotà, interpellato più volte da telegiornali e quotidiani. I redditi, piaccia o meno, sono un dato pubblico in quanto su di essi si calcolano le tasse, che rappresentano la contribuzione economica dei cittadini alla cosa comune.
Tuttavia, pubblico non significa necessariamente disponibile nello spazio pubblico. Come molti altri dati, infatti, i redditi sono accessibili solo attraverso una procedura burocratica scoraggiante. La conseguenza è che i redditi realmente pubblici sono solo quelli attorno ai quali un giornalista ha deciso di costruire un articolo di colore.
La cosa cambia radicalmente se il dato diventa facilmente accessibile perché c’è uno strumento come Internet che azzera i costi di distribuzione delle informazioni. La conseguenza è che la messa online porta il dato pubblico nello spazio pubblico.
In questo passaggio c’è un salto di qualità. In una democrazia, lo spazio pubblico è un luogo simbolico fondamentale: lì, infatti, si esercitano le libertà civili e il governo dovrebbe rispondere delle proprie azioni dinanzi al popolo. In Italia, l’agenzia delle entrate, inconsapevolmente, è andata oltre: ha fornito ai cittadini – anche se per breve tempo – uno strumento per valutare la probità di altri cittadini. In un periodo in cui l’evasione è additata come una delle cause della rilevante pressione fiscale nel nostro paese, dovrebbe essere una decisione da plaudire.
Finalmente abbiamo una tecnologia che ci permette di riversare nello spazio pubblico informazioni che, finora, nonostante il loro status, sono rimaste di fatto private. La digitalizzazione della pubblica amministrazione, che nasce più prosaicamente come strumento di semplificazione ed efficienza, ha come conseguenza una ridefinizione della sfera pubblica, che trova nella dimensione digitale la possibilità di creare una nuova agorà.
D’altro canto, la diffusione dei redditi attraverso le reti peer-to-peer, in barba alla decisione dell’agenzia delle entrate di sospenderne la pubblicazione, rende evidente che, una volta nella sfera pubblica digitale, le informazioni saranno oggetto di manipolazione sociale: verranno aggregate e rielaborate per ottenere nuove informazioni e saranno oggetto di conversazione.
Auspicabilmente, diventeranno materia prima per alimentare quel mercato delle idee, che invece la televisione sopisce o addirittura nega. In questo senso, ancora una volta, occorre plaudire la decisione dell’agenzia delle entrate, perché fornisce carburante per la partecipazione a un dibattito (quello sulle tasse) che altrimenti si svolgerebbe solamente nei salotti televisivi dove il cittadino, invece di essere partecipante informato e attivo, sarebbe solo spettatore disciplinato.
Basta fare una piccola ricerca con Technorati o Google Blogsearch per constatare l’impennata di post che contengono la parola chiave “redditi”. Qualcuno storce il naso e punta il dito contro la qualità della conversazione che si sta svolgendo nella blogosfera e negli altri luoghi di aggregazione digitali. E’ senz’altro vero che c’è tanta approssimazione e poco approfondimento e che in molti si preoccupano solo di soddisfare i proprio voyerismo. Però ci sono anche atteggiamenti maturi e consapevoli di cittadini che nello spazio pubblico digitale si confrontano e, parafrasando Al Gore, fanno di Internet “una piattaforma per perseguire la verità”.

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