Oggi, nella mia homepage di Facebook, Eddy Pedro condivideva la foto del cadavere di un bambino palestinese morto: la foto era stata messa online da Flavio Ibba che si è preso la briga di collezionare una serie di immagini raccapriccianti di piccoli corpi dilaniati.
Ho scritto sia a Eddy che a Flavio (che non conosco personalmente) facendo presente che non ritenevo opportuno che quelle foto fossero pubblicate su Facebook e le ho segnalate agli amministratori del social network affinchè ne valutassero la rimozione.
Le immagini, fortunatamente, sono state rimosse ed è opportuna qualche considerazione sul perché dal mio punto di vista Facebook non è il posto giusto per condividere questo tipo di materiale:
- su Facebook ci sono dei minori e sicuramente molti di loro hanno un’età inferiore ai sedici anni, l’età minima stabilita dalle condizioni di uso per usare i servizi del sito. Le foto sono scioccanti e che io sappia non c’è un modo per inibire la visione di materiali vietati ai minori, salvo la rimozione. Mettere una generica etichetta VM18 non serve risolve il problema;
- in generale, è considerato eticamente non accettabile usare immagini di minori se questo può condurre a strumentalizzazioni da parte degli adulti portati a rappresentare e a far prevalere esclusivamente il proprio interesse. Infatti, almeno in Italia, i media non le usano. Chi ha scattato queste foto e le ha diffuse si propone proprio di strumentalizzare l’immagine di queste piccole vittime puntando all’indignazione di chi le guarda.
Questi sono i motivi per cui, secondo me, le foto dei bambini uccisi a Gaza non possono e non devono essere pubblicate su Facebook. Questo, ovviamente, non significa che io propenda per una parte piuttosto che per l’altra, perché dal mio punto di vista i palestinesi e gli israeliani che vogliono la guerra hanno lo stesso torto: quello di chi pensa che le armi possano e debbano essere impiegata e che si possa sacrificare tutto, finanche i bambini, in nome di qualcosa (cosa poi?).
13 Responses
Francamente Nicola non vedo motivi per cui Facebook debba essere considerato (dai suoi utenti) diverso da qualsiasi altro luogo della rete Internet dove pubblicazione o non pubblicazione di immagini simili sono lasciate alla valutazione dei pubblicatori.
Sono daccordo con te Nicola, sicuramente Facebook è il posto perggiore per pubblicare quelle foto.
Quindi è sbagliato che i minorenni occidentali vedano i bambini morti a Gaza? Piuttosto è ingiusta la loro morte.
Massimo, il tuo è punto di vista molto ingenuo. Esiste un’etica dominante in una società che produce delle regole che stabiliscono cosa si può e cosa non si può fare. Se non fosse così, troveremmo contenuti pornografici, pedopornografici e raccapriccianti ovunque: in fin dei conti i singoli pubblicatori non potrebbero che giudicare pertinente e lecita tale pubblicazione.
Fortunatamente le cose non stanno così!
Nicola, contesterei flebilmente il fatto che il mio sia un punto di vista ingenuo. Magari lo e’ ma purtroppo o per fortuna le logiche di rete e l’etica domiannte ( un concetto che non significa nulla se ci pensi, visto che cio’ che domina qui non domina a 100 km da qui, lo diceva anche Pascal ma vabbe’ lasciamo perdere) non hanno mai avuto nulla a che fare una con l’altra. In questo senso FB e’ molto dentro l’etica che ti piace, nel senso che decide per te cosa vada pubblicato e cosa no da quelle parti (vedi le madri che allattano ecc) e molto fuori la logica di rete dove sei tu che scegli cosa vedere e cosa no. Nel caso specifico basterebbe eliminare dai contatti chi posta sul newsfeed foto del genere.
ciao
Di certo non esiste una regola unica. Facebook è un pò internet, una condivisione di un’immagine lì equivale ad un link passato su MSN e lì nessuno ti vieta di passare il link con immagini scioccanti. La cosa che fa paura di Facebool è questa tendenza all’omologazione e al controllo di tutti su tutto. E le voci che girano riguardo al fatto che sia nelle mani di famiglie neofasciste e di persone tramite le quali si risale alla CIA di certo non migliora il quadro.
Il punto è: Internet è il luogo di libertà per eccellenza. Se noi cominciamo a sperimentare ed amare il controllo con Facebook come si modificherà il nostro comportamento su Internet?
Come reagiremo tra qualche anno ad una legge che vuole restringere le maglie della rete?
Molta gente, purtroppo, dimentica che quando ci sono le guerre ci vanno di mezzo gli innocenti e le foto crude servono, ancora purtroppo, a far capire e ricordare quanto sia volgare, stupida ed inutile una guerra.
@Massimo: in merito all’etica, l’ho circoscritta a una società o se vuoi si potrebbe essere più granulari e dire che esiste un’etica per ciascun gruppo sociale. Forse è sbagliato l’aggettivo dominante e sarebbe preferibile dire “condivisa”: sta di fatto che ogni gruppo sociale ha un set di regole di cosa si può fare e cosa non si può fare. FB non deve decidere per me cosa vada pubblicato, ma deve vigilare su cosa non vada pubblicato in base alle leggi e in base a codici deontologici condivisi. Questo ovviamente pone il problema su come si operi questo controllo: è un tema estremamente interessante giacché di fatto FB alla fine si trova ad operare quasi come un’istituzione.
@Jose. Non conosco i legami dei fondatori di FB e le loro affiliazioni politiche. E’ vero che Internet è un luogo della libertà , ma libertà non significa anarchia. Gli utenti di Facebook che vivono in Italia sono sottoposti alle stesse identiche leggi di quelli che lo frequentano. Non confondiamo il tema della net neutrality con altri temi.
In merito alle foto crude, non credo che l’immagine di un cadavere di un bambino aggiunga molto in termini razionali al giudizio che si può dare di una guerra.
@flo. Si io penso che sia sbagliato mostrare l’immagine di un cadavere (di qualsiasi età ) a un bambino e probabilmente anche a un adolescente: soprattutto se si tratta di un corpo dilaniato dalle bombe. Non penso che un bambino abbia la possibilità di metabolizzare quell’immagine e ritengo che ne possa rimanere inutilmente scioccato.
Sto parlando solo ed esclusivamente di questo: è indubbio che non sia giusto che un bambino (e non solo un bambino) muoia. Soprattutto in questo modo.
Nicola, ho da farti un’obiezione radicale e da esprimerti un moderato consenso.
Cominciamo da quest’ultimo. Credo sia necessario dotarsi di rgole per la pubblicazione di materiale su internet, compresi blog, facebook ecc.
Al proposito, affermare che internet è il luogo della libertà è fuorviante, perché internet dfa parte della nostra realtà e la libertà di ciascuno finisce – come sappiamo – dove inizia quella degli altri. Quindi questioni come la diffamazione, la tutela dei minori, il rispetto della diversità , e tante altre andrebbero garantite anche su internet che, in questo, direi che si avvicina più ai mass media che ai personal media.
In altre parole, mentre in una lettera o nel corso di una telefonata, ciascuno è libero di affermare quello che vuole, su internet bisognerebbe aturoegolamentarsi.
Certo non fino al punto da costringere i blog ad iscriversi al ROC, come vorrebbe Ricky Levy, ma questo è un altro discorso.
Dissento invece radicalmente dal tuo pensiero quando affermi che
“in generale, è considerato eticamente non accettabile usare immagini di minori se questo può condurre a strumentalizzazioni da parte degli adulti portati a rappresentare e a far prevalere esclusivamente il proprio interesse. (…) Infatti, almeno in Italia, i media non le usano. Chi ha scattato queste foto e le ha diffuse si propone proprio di strumentalizzare l’immagine di queste piccole vittime puntando all’indignazione di chi le guarda.”
Appunto, non ci vedo nulla di male a voler suscitare l’indignazione di chi guarda le immagini strazianti dei bimbi morti. Il male sta nel fatto che quei bimbi sono morti e in quel modo. Non uccidiamoli una seconda volta facendo finta che non esistano e che non siano mai esistiti.
Finché una guerra non è raccontata per immaginim, infatti, è come se non ci fosse. E, senza di queste, rimane possibile mantenere una equidistanza tra le parti in campo.
Il problema è che, una volta che si prende coscienza del fatto che “guerra” non è una parola o un concetto politico come altri ma una tragedia immane e immonda, non si può non auspicare – sempre se ci è rimasto qualosa di vivo e di umano dentro – che essa finisca al più presto.
Infine, quella tua frase “Infatti, almeno in Italia, i media non le usano. ” potrebbe ben essere utilizzata per un ragionamento a contrario: perché in Italia i giornali non raccontano della crudeltà concreta di questo massacro?
Perché assistiamo inermi a dibattiti televisivi in cui si può sentire frasi come “l’obiettivo politico di Israele è che i palestinesi reputino Hamas responsabile di queste morti”?
In realtà i giornali hanno una loro posizione, come d’altra parte anche il governo e, mi pare di capire, anche tu che si appiattisce completamente sulle presunte “ragioni” di Israele, relegando morti, feriti e devastazioni in un limbo di non-esistenza, di non comparimento – come se, appunto, non ci fossero.
Invece la tragedia è che ci sono e anche quando si voglia mantenere una posizione terza, senza partigianamente schierarsi, non si può fare a meno di tenerne conto.
Chiudo questo lungo commento riportando l’editoriale della scorsa settimana del direttore di internazionale Giovanni de Mauro :
La sera del 27 dicembre, a poche ore dall’inizio degli attacchi aerei su Gaza, lo scrittore inglese John Berger ha spedito quest’email: “Siamo spettatori dell’ultimo capitolo del conflitto tra Israele e i palestinesi, cominciato sessant’anni fa. Sulla complessità di questo tragico conflitto sono state pronunciate miliardi di parole, in difesa di una parte e dell’altra. Ma oggi, con gli attacchi su Gaza, è diventato chiaro a tutti qual è il calcolo che in modo nascosto è sempre stato presente: la morte di un israeliano giustifica l’uccisione di centinaia di palestinesi. Lo ripetono il governo israeliano e quasi tutti i mezzi d’informazione del mondo. È un’affermazione profondamente razzista, che ha accompagnato e giustificato la più lunga occupazione di un territorio straniero nel ventesimo secolo. Che gli ebrei debbano accettarlo, che il mondo debba consentirlo e che i palestinesi debbano subirlo è uno strano scherzo della storia. Ma non c’è niente da ridere. Possiamo, invece, respingerlo, e ad alta voce. Facciamolo”. –
Ciao, robert.
Robert, grazie per il commento. Faccio una sola precisazione: non parteggio né per le ragioni degli israeliani né per quelle dei palestinesi, anche perché le mie conoscenze della storia del conflitto sono troppo modeste per poter prendere una posizione ragionata sull’argomento. Per quello che leggo dalla cronaca di questi giorni, mi sono fatto l’idea che il comportamento di Hamas e quello dello stato di Israele in questa occasione sia parimenti condannabile, a prescindere dal numero di morti e dalla loro età .
Nel momento in cui si decide per la guerra è del tutto inutile argomentare sul rispetto di regole, perché non credo di aver mai letto che una guerra è stata combattuta con i codici alla mano: vale sempre la regola del fine giustifica i mezzi. Ci sarà sempre un obiettivo militare che andava raggiunto e ci saranno sempre fattori che hanno impedito di raggiungerlo colpendo solo l’obiettivo militare, non facendo vittime collaterali e così di seguito.
E’ il ricorso stesso alle armi che rende impossibile qualsiasi altra soluzione, perché quando uccidi ci sarà sempre una famiglia che può dire di aver avuto un morto, una casa distrutta e così di seguito. E ci sarà sempre odio e questo odio verrà alimentato continuamente.
Purtroppo non conosco bene la storia dello stato di Israele e dei conflitti con i palestinesi e gli stati arabi confinanti, però ti devo dire che mi sono fatto l’idea che quello stato in quella posizione geografica è stato un errore storico: se così non fosse, non ci sarebbe la guerra da sessant’anni. La mia è una conclusione legata a un passaggio logico: la pace si può fare tra persone che intendono impegnarsi per raggiungere questo obiettivo; se almeno uno dei due non è disponibile allora non c’è molto da dire. E non mi sembra che ci sia disponibilità né da una parte né dall’altra.
Tutto è il resto diventa triste cronaca dei fatti.
Ciao
Nicola
Caro Nicola
io sono stato uno di quelli che ha contribuito a diffondere le immagini che sono ancora ben visibili su FB.
Tra i miei contatti, quelli a cui è rivolto anche il messaggio che ho allegato alle foto, non c’è nessun minore. Normalmente le immagini non sono “pubbliche” su FB bensì visibili solo dai propri contatti, al contrario su tutto il resto di internet lo sono. Sui circuiti peer to peer, molto usati dai minori, lo sono. Recuperare foto atroci di bambini è molto semplice. In altre parole, la censura su FB è pura retorica ovvero il tentativo di pescare una goccia di acqua dal mare. Inutile.
Preoccuparsi delle foto e non della causa delle stesse, è quasi come essere complici di quelle atrocità .
Mi permetto di citare uno dei commenti apparti su FB:
“Serena Bianchi alle ore 13.54 del 16 gennaio
non pubblicare foto della guerra per proteggere i nostri figli da quelle immagini?
Proteggo mia figlia se creo un mondo migliore dove possa vivere, e in questo caso l’unica cosa che posso fare è creare una coscienza popolare che porti ad una reazione.
proteggere i nostri figli da quelle immagini? In quei bambini io vedo veramente mia figlia. Quei bambini sono i nostri figli.
e se non vogliamo scioccarli stiamo loro vicini, oscuriamo pure alcune immagini ma aiutiamoli a capire, perchè diventino adulti migliori di noi.”
Cmq discutere fa sempre bene.
Nicola,
la visibilità delle cose che metti nel tuo profilo dipende dai settaggi della privacy: se hai settato che il tuo profilo è accessibile a tutto il tuo network geografico, significa che tutti gli utenti italiani possono vedere le cose che pubblici e che condividi.
La generalizzazione non è un argomento valido: con questo ragionamento sarebbe lecito pubblicare foto pornografiche perché tanto sui circuiti peer to peer se ne trovano valanghe.
Sono d’accordo con Serena, ma non credo che pubblicare immagini con atrocità contribuisca a creare una coscienza popolare che porta a una reazione. Quelle immagini servono per provocare una reazione emotiva e con le emozioni non si risolvono i conflitti, ma ci si schiera con uno contro l’altro.
Nel mio post ho parlato di una cosa specifica: se sia lecito pubblicare immagini. Discutiamo di questo per favore.