Social media agency: ha senso?

La presentazione di Gianluca al ParmaWorkCamp mi offre l’opportunità di proporre qualche riflessione. Innanzitutto, date un’occhiata alla presentazione:

Nelle aziende ci sono funzioni che usano società di consulenza per svolgere attività che le aiutano a raggiungere i propri obiettivi. Ciascuna di queste funzioni impiega un set di conoscenze e pratiche più o meno codificate (le stesse che vengono insegnate in università, scuole e accademie).
Nell’ambito della comunicazione d’impresa vengono normalmente individuate tre aree, la comunicazione di prodotto, le relazioni pubbliche e la comunicazione interna, che in ogni organizzazione trovano collocazioni diverse. Ognuna di queste aree utilizza i media per raggiungere i propri obiettivi e, ovviamente, non potrebbe essere diversamente.
In questo contesto, oggi, ciascuna di esse ha individuato una “sua” social media agency, con la conseguenza che attualmente si stanno facendo molte sperimentazioni, adottando punti di vista diversi e partendo da linguaggi differenti tra di loro.
Per esempio, nell’area delle relazioni pubbliche vanno molto i monitoraggi dei media sociali e gli incontri con blogger, gestori di forum e altre persone ritenute a qualche titolo influenti. Si tratta di estensioni di attività tradizionali (la rassegna stampa e i press brief). Se guardiamo alla comunicazione di prodotto (advertising, promozioni, direct marketing e via dicendo) è tutto un fiorire di viralità e passaparola.
In questa fase storica, non ha senso parlare di social media agency tout-court semplicemente perché gli approcci dipendono ancora moltissimo dal linguaggio che usa l’interlocutore aziendale. La cosa certa è che oggi molti di questi esperimenti mostrano i limiti della banale trasposizione dei modelli che valgono per i media di massa o – generalizzando – per l’economia dei prodotti di massa. In quest’ultimo senso, essi mostrano anche che in alcune circostanze è desiderabile (se non necessario) ripensare sia i modelli organizzativi che quelli di business. Con tutta evidenza, l’impatto dipende dal settore che prendiamo in considerazione: poco o nulla importante se fai tondini, mediamente importante se fai biscotti o yogurt, piuttosto importante se fai prodotti elettronici, molto importante se fai software, devastante se fai l’editore.
Allo stesso tempo, mi sembra di poter dire che gli esperimenti più interessanti e promettenti si hanno quando non si agisce sulle funzioni di staff dell’azienda (la comunicazione è una di queste), ma su quelle che riguardano il business vero e proprio. Per esempio, Dell e Starbucks mostrano che le persone sono interessate a partecipare al product management, mentre Danone mostra che non si eccitano particolarmente a discettare di fermenti lattici. Vedremo cosa accadrà a Barilla con il suo mulino che vorrei, perché non è detto che i prodotti da forno si prestino bene a ingaggiare i consumatori come i computer o i locali pubblici.
La cosa che, in questa fase dell’evoluzione dei media sociali, proprio non si deve fare è quella di continuare a lamentarsi perché quelli che stanno nelle aziende ottusamente non comprendono le grandissime potenzialità della conversazione. Non si può certo pretendere che esse si lancino tutte entusiasticamente a sperimentare nuove pratiche di comunicazione: gli innovatori e gli early adopter rappresentano solo una piccola percentuale del totale.

5 Responses

  1. concordo su tutto. solo preciso sul finale: secondo me rappresenteranno SEMPRE una minoranza. ma e’ quanto influente sara’, non il loro numero, a determinarne l’importanza.
    ciao

  2. Il problema secondo me sono le dimensioni: sono sempre agenzie piccole, smart, troppo smart, a proporre queste soluzioni. Le aziende grandi ha bisogno di solidità, di processi, di struttura.

    In Italia siamo bravissimi fuoriclasse, siamo il paese di artigiani e PMI; molto meno bravi invece a fare sistema.

    uff. basta, ho perso il filo! Scusate ragazzi ma riscrivere il commento per la terza volta è impossibile! 😉 (sbagliando il captcha ti ricarica la pagina perdi il contenuto del messaggio scritto, anche andando in back, almeno con safari 4. Sarà per la prossima 😉

    Andrea

  3. @nicola concordo le grandi aziende hanno tempi più dilatati (e molti troppo spesso lo dimenticano) ma aggiungo: tutto questo – il momento di grandi cambiamenti mediatici – sarebbe l’occasione giusta per mettersi in discussione e cambiare passo.
    ma quanti di loro hanno davvero la forza adesso di farlo? “qui si parrà la tua nobilitate”.
    insomma non mi sento di dare poi tutta la colpa all’immaturità del mondo 2.0, è davvero un mix.

  4. @nicola concordo le grandi aziende hanno tempi più dilatati (e molti troppo spesso lo dimenticano) ma aggiungo: tutto questo – il momento di grandi cambiamenti mediatici – sarebbe l’occasione giusta per mettersi in discussione e cambiare passo.
    ma quanti di loro hanno davvero la forza adesso di farlo? “qui si parrà la tua nobilitate”.
    insomma non mi sento di dare poi tutta la colpa all’immaturità del mondo 2.0, è un mix.