Dice Wikipedia che il change management è “un approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle società che rende possibile (e/o pilota) la transizione da un assetto corrente ad un futuro assetto desiderato.”
Nelle aziende, il change management è visto come un’attività straordinaria, da mettere in campo in caso di eventi eccezionali: si assoldano consulenti specializzati, si rivedono le missioni aziendali, si mettono in piedi dei comitati di controllo e così di seguito.
Credo, invece, che – oggi come oggi – il change management meriti di diventare una funziona aziendale di primo livello con un direttore a diretto riporto dell’amministratore delegato. Infatti, le mutazioni che richiedono un adattamento radicale dell’azienda stanno diventando sempre più veloci. Pensiamo al mondo dei media su carta: ieri Warren Buffet ha detto che non ci investirebbe più un dollaro perché non hanno un modello di business sostenibile (vedi qui). Quanti lo avrebbero detto cinque anni fa? Pensiamo alla Microsoft che, quest’anno per la prima volta, non è cresciuta e che sta faticosamente convertendosi da azienda che produceva e inscatolava software ad azienda che produce servizi online e vende pubblicità. Pensiamo a Ibm che nel giro di pochissimi anni è passata da azienda che produceva hardware a società di consulenza.
Ognuno di questi passaggi richiede un cambiamento di paradigma organizzativo che deve essere eseguito velocemente, pena la morte dell’azienda. La gestione di questo cambiamento non può essere un’attività eccezionale svolta da consulenti esterni, ma deve diventare un’attività sistematica: le organizzazioni vanno progettate per essere resilienti più che resistenti.
Voi cosa ne pensate? Mi date qualche contributo? Quale può essere il ruolo dei media sociali?
Parlare di salute mentale, serenamente
Vi segnalo un progetto molto interessante: Serenamente, il magazine di psicologia che vuole rendere la salute mentale accessibile a tutti. Sul sito leggo che l’obiettivo