Ho comprato questa autobiografia ispirato da Giacomo Peldi Guilizzoni che aveva citato una frase di Steve Martin durante un keynote alla tappa bolognese di Working Capital: «be so good, they can’t ignore you». Ero andato alla ricerca dell’intervista da cui era presa la citazione trovandola su YouTube. Poiché si parlava anche di un’autobiografia, ho fatto un’ulteriore ricerca e ne ho trovato anche la traduzione italiana.
Devo dire però che il libro mi ha un po’ deluso. E’ pieno ti tanti dettagli insignificanti e alla fine risulta poco avvincente: una cronaca degli inizi della carriere senza particolare spessore narrativo. Mi sono appuntato solo due brani che riporto di seguito:
L’eccitazione della mia vita quotidiana a Disneyland e al liceo contrastava con la vita di casa. I pranzi silenziosi della famiglia, il divieto di parlare liberamente e di esprimere le mie opinioni, il carattere imprevedibile di mio padre e i mugugni che ricevevo come risposta significavano che la nostra famiglia non si era mai unita […] Quando andai via di casa a diciotto anni telefonavo raramente ai miei per sapere come stavano o per dire loro cosa stavo facendo. Perché? La risposta stupisce anche mentre la sto scrivendo dopo tanti anni: non sapevo che avrei dovuto farlo.
Il mio ultimo giorno al negozio di trucchi, stavo dietro il bancone sul quale avevo mescolato i mazzi di carte svengali e l’incredibile dado che si restringe e fui colto da una emozione contraddittoria: la nostalgia per il presente. In qualche modo, benché avessi smesso di lavorare soltanto da pochi minuti, il mio futuro attaccamento al negozio era chiaro e avvertivo una tristezza come quella che nasce guardando la foto di una vecchia fidanzata.
Tutto il resto è abbastanza trascurabile, senza considerare il mediocre editing del testo con un po’ di refusi sparsi qua e la.