In questi giorni mi è capitato tra le mani un libro appartenuto a mio nonno. Si tratta di un’edizione del 1942 di Uomini e topi di John Steinbeck tradotta da Cesare Pavese. Una storia cruda, raccontata senza fronzoli; leggendola immaginavo le scene in bianco e nero come un vecchio film degli anni cinquanta. C’è un passaggio che mi è rimasto impresso. Crooks è il garzone di stalla nero, che vive isolato dal resto del gruppo dei lavoratori della fattoria:
Disse Crooks: “[…] Un uomo passa la sera qui solo, seduto: magari legge dei libri o pensa o altro. Qualche volta pensa e non ha niente che possa dirgli se una cosa è o non è come lui crede. Magari, se vede qualcosa, non sa dire se ha ragione o se sbaglia. Non può rivolgersi a qualcuno e domandargli se vede anche lui la stessa cosa. Non può mai dire. Non ha niente per regolarsi. Io qui ho veduto delle cose. Non avevo bevuto. Non so se dormivo. Se con me ci fosse stato qualcuno, poteva dirmi se dormivo e sarebbe andato tutto bene. Io invece non so. […]
Mi ricordo quand’ero bambino nell’allevamento di polli del mio vecchio. Avevo due fratelli. Erano sempre vicino a me, sempre. Dormivamo insieme nella stessa stanza, nello stesso letto, tutti e tre. Avevamo un campo di fragole. Avevamo un campo di alfalfa. Al mattino col sole facevo uscire i polli nell’alfalfa. I miei fratelli sedevano sullo steccato e li guardavano… erano bianchi i polli”.