L’antipolitica è colpa dei politici

I partiti sono una componente fondamentale di ogni democrazia perché rappresentano l’anello di congiunzione tra la società e le istituzioni; sono il laboratorio in cui le idee sulla cosa pubblica e sulla gestione dei beni comuni diventano progetto politico.
Ce lo ricorda Mario Rodriguez in un bel commento sul quotidiano Europa, di cui – oltre a rubare il titolo per questo post – cito alcuni brani (i grassetti sono miei):

… è opportuno e urgente che gli esponenti dei partiti politici a cominciare da se stessi riconoscano che le cose così come stanno adesso non vanno bene. Riconoscano che i cittadini scontenti, disincantati, disillusi hanno delle buone ragioni perché il sistema che loro hanno contribuito a creare e che soprattutto difendono non produce qualità. Che criticare i partiti non è antipolitica o populismo, i partiti devono cambiare e ricucire la frattura tra chi vive di politica e chi alla politica (l’impegno dei vecchi esistenzialisti del Novecento) attribuisce un ruolo importante per dare sapore (senso) alla propria vita.
[…]
Qualsiasi azienda attraversata da una crisi così profonda si porrebbe il problema di ridefinire le proprie relazioni con il mercato, la propria immagine, per ridarle credibilità e ri-legittimare la propria ragione sociale. Ma i nostri partiti non intendono dar vita a un sistema aperto e continuano ad apparire un sistema chiuso, la partitocrazia. Così nessuno in questi giorni alla riflessione sulla legge elettorale aggancia proposte per fare ordine (e pulizia) nelle forme organizzative delle rappresentanza, i partiti politici per intenderci, cerniera vitale tra società e istituzioni.

Aggiungo una cosa al ragionamento di Mario. I partiti nascono attorno a un’interpretazione del mondo, a un’idea di come dovrebbe essere gestita la cosa pubblica e di come dovrebbero configurarsi gli equilibri tra le componenti di una società; fino a un certo punto queste idee sono state sintetizzate in ideologie che hanno definito dei grandi progetti politici, come il comunismo.
Le ideologie hanno smesso di fornire strumenti utili a interpretare la società parecchio tempo fa (Miseria dello storicismo di Karl Popper è del 1957 e le tesi in esso contenute furono elaborate vent’anni prima); con qualche decennio di ritardo hanno smesso di fornire anche progetti e soluzioni applicabili.
Nel frattempo i partiti (almeno quelli italiani) hanno dimostrato tutta la loro incapacità a elaborare idee alternative di grande respiro; d’altro canto nessuno di loro era abituato veramente a farlo. Non è un caso che una delle cose che si rimprovera più di frequente ai politici nostrani (e in particolare a quelli della sinistra) è l’inadeguatezza dei progetti, tutti striminziti e frutto di improbabili compromesso.
Uscire da questo pantano significa cambiare tante cose, anche la governance dei partiti, giacché appare veramente singolare che ad essi si applichino dei controlli e delle regole che definire annacquati è un vero eufemismo. La credibilità della politica passa da qui: dall’applicare a se stessi le regole che si vorrebbero applicate agli altri.
Concordo pienamente con Mario 🙂

UPDATE: il titolo di questo post è stato cambiato su suggerimento di Rodriguez da «L’antipolitica è colpa della politica» e «L’antipolitica è colpa dei politici».

2 Responses

  1. Grazie dell’attenzione! A te posso dire però che il titolo che hanno messo a Europa non mi convince. Io direi: la colpa è dei politici non della politica! Come le colpe di Tanzi sono dell’imprenditore e non dell’economia!. Questo spostamento concettuale aumenta la confusione. La politica è essenziale, ce ne vuole di più e di migliore qualità. Il problemone sono i politici, ma non le persone, o non solo, ma i meccanismi di selezione e promozione. Appunto il sistema che governa questo snodo essenzile del funzionamento efficace delle democrazie.

    1. Ok, accolto il suggerimento e cambio il titolo 🙂
      Grazie. Nicola