Irene Tinagli: l’innovazione è questione di cultura

Il 2 febbraio scorso, alla Camera dei deputati si è parlato di innovazione e della proposta di Edmund Phelps di creare una Banca nazionale per l’innovazione. Tra gli interventi che si sono susseguiti, quello di Irene Tinagli (blog), unica donna nel numeroso panel, è probabilmente il più interessante. Ne ho fatto una sintesi di seguito:

L’innovazione non è un processo lineare; è caotica, contraddittoria e imprevedibile e questo significa che non la si può produrre in modo deterministico intervenendo solo in una fase.
Occorre preparare l’innovazione agendo sul contesto sociale perché la cultura determina la quantità e la qualità dei progetti sui quali investire; occorre avere migliaia di giovani che hanno voglia di misurarsi.
Il tasso di imprenditorialità giovanile in Italia è crollato. Tra il 2002 e il 2010, la percentuale di imprenditori sotto i trent’anni è passata dall’8 al 6 per cento, mentre è aumentato quello degli ultra settantenni. Negli ultimi otto anni ci siamo persi più di 65.000 giovani imprenditori sotto i trenta anni. Invece, i ragazzi italiani non sono incoraggiati a investire nelle proprie passioni e a mettersi in gioco: è un trend che non è frutto solo della crisi economica ma è il sintomo di una società che ha paura di mettersi in discussione.
Creare le condizioni per l’innovazione significa mettere in campo politiche per l’istruzione, per la cultura, per l’immigrazione e le pari opportunità. Solo se la società è moderna ed innovativa si innesta un’economia moderna ed innovativa.
Citiamo spesso la California e ci riferiamo agli anni novanta, però dovremmo essere consapevoli del fatto che le politiche per l’innovazione nella Silicon Valley erano iniziate negli anni sessanta. Inoltre, negli anni 90, il 30% dell’occupazione era coperta da stranieri e il 26% delle nuove imprese erano state fondate da stranieri.
Una banca per l’innovazione può essere uno strumento utile, ma l’innovazione è soprattutto una questione culturale e una banca potrà funzionare davvero solo in un’Italia dove ci sia voglia di mettersi in gioco, più curiosità di imparare dagli altri e più fiducia nelle persone indipendentemente da età, sesso, religione e razza. Questa Italia non la possiamo fare né con una banca né con un decreto, ma la dobbiamo fare tutti noi insieme.