Il rapporto tra innovazione e finanza non è sempre rose e fiori. Se, infatti, il capitale rappresenta un fondamentale ingrediente per trasformare la tecnologia in aziende, allo stesso tempo, la storia ci insegna che i finanzieri sono motivati solo dalla possibilità di veder crescere in modo esponenziale i propri profitti e, frequentemente, non si fanno scrupolo di raggiungere i loro obiettivi a ogni costo.
A distanza di oltre dieci anni dalla bolla della new economy, il tema del rapporto tra investitori e imprenditori sta ritornando di grande attualità. Da un lato, c’è un crescente fermento nel mondo delle startup: dalle iniziative pubbliche a sostegno della creazione di nuove imprese come stimolo all’economia come Startup America o Startup Britain, agli acceleratori e fondi di venture capital che investono nelle fasi di vita più rischiose di una nuova azienda, come YCombinator, Techstars o Seedcamp. Dall’altro lato, ritornato le valutazioni astronomiche che si attribuiscono ad aziende con pochissimi anni di vita come Facebook, Groupon o Twitter e si riaffaccia l’ipotesi che una nuova ondata di quotazioni in borsa finisca per diventare un’altra mattanza di piccoli risparmiatori. Certo, il contesto è molto diverso da quello della fine degli anni novanta, ma vale la pena ritornare indietro con la memoria per cercare di capire se siamo all’alba di un’altra bolla, come molti sostengono, e quali ne potrebbero essere le caratteristiche.
Delle diverse prospettive che si possono assumere, mi piace molto quella della narrazione perché è proprio la narrazione che da senso alle cose che facciamo e ci spinge a prendere determinate decisioni piuttosto che altre. Di questi temi si occupa sempre molto efficacemente Luca De Biase che nel 2003, all’indomani dello scoppio della bolla della new economy, scrisse un bel libro dal titolo edeologia. La sua tesi è che tra il 1998 e i 2000 si sia affermata una vera e propria ideologia che, avendo conquistato per qualche tempo un consenso generalizzato, ha distorto la realtà spostando i parametri di riferimento usati per giudicare positivamente o negativamente i fenomeni economici.
Questa particolare forma di deriva ideologica, che De Biase chiama appunto edeologia ossia ideologia elettronica, affonda le sue radici fuori dai luoghi dove si produce innovazione: «si concentra piuttosto nelle sale di trading delle banche, negli uffici degli analisti e dei capitalisti di ventura, nelle stanze degli amministratori delegati delle tante aziende nate solo per speculare in borsa». In altri termini, la narrazione edeologica che produsse l’euforia che gonfiò la bolla fu di natura finanziaria più che imprenditoriale e, fatti salvi i pochi che fecero a tempo ad approfittare delle speculazioni in borsa, produsse molti danni sia agli imprenditori che ai risparmiatori.
Quella deriva si basava sulla presunzione che fosse possibile predire il futuro in quanto esso è determinato per via scientifica e tecnologica. La critica di De Biase si concentra sugli aspetti della cultura digitale che hanno preso strade prive di qualità:
In primo luogo la frangia della ricerca filosofica che ha riproposto la fede nel progresso scientifico e tecnologico come interpretazioni universale della realtà. Inoltre, l’idea della tecnologia digitale come elemento strategico dell’egemonia americana sul mondo, della quale la cultura militare è una delle componenti decisive. E poi l’integralismo economicista: una vera calamità culturale che ha tentato di prendere possesso di ogni criterio di giudizio rifondando ogni pensiero sulla base del calcolo dell’utilità personale e dell’andamento dei valori di Borsa. Infine, quel tipo particolare di consumismo che ha concentrato l’attenzione intorno all’edonismo della tecnica, introducendo tra i nuovi modelli sociali i personaggi che fanno dell’aggiornamento della loro dotazione tecnologica la nuova misura dello status intellettuale e sociale.
Ma è pur vero che tutte questi componenti si sono fuse nell’epoca dell’edeologia, determinando confusione, sofferenze e disastri economici. E quella fusione è avvenuta attorno a una serie di osservazioni decisive coma la legge di Moore e di Metcalfe sull’effetto-rete, e in base ad alcune conclusioni chiave come l’idea della scomparsa delle distanze nella spazio e nel tempo, il futuro come nuova frontiera, la possibilità di un capitalismo senza attriti, l’avvento di una nuova economia, la prospettiva della globalizzazione.
Nella prossima puntata, percorrerò gli elementi strutturali dell’edeologia, per capire se alcuni di questi stanno riguadagnando spazio nell’agenda della discussione attorno all’innovazione e al fare startup.