Da dove vengono le idee? Davvero arrivano all’improvviso e hanno la forma di una mela che cade sulla testa di Isaac Newton? Davvero l’innovazione è il frutto di un’epifania, ossia di un’apparizione che ci rivela l’essenza e il significato di una cosa?
Si è tentati di pensarlo e molta della narrativa attorno all’innovazione fa uso di storie di illuminazione, dall’eureka di Archimede all’iconografia a base di lampadine che si accendono nella mente degli inventori. La storia è piena di simpatici aneddoti come quello che racconta che Pierre Omidyar ha creato eBay per aiutare la moglie a vendere dei contenitori di caramelle (lo stesso Omidyar ha dichiarato che è stata inventata apposta per la stampa).
Chissà perché, ancora oggi, la narrativa dell’innovazione continua a dipingere gli innovatori come persone un po’ strane che vengono folgorate sulla via di Damasco o si imbattono per caso in qualcosa di nuovo. Basta soffermarsi un po’ a pensare a come ci vengono nuove idee per renderci conto del fatto che le cose non stanno proprio così. Noi andiamo a caccia di nuove idee in modo consapevole con un processo spesso faticoso che richiedere studi e ricerche.
Come scrive Scott Berkun in The Myths of Innovation:
I miti sono così potenti, che la maggior parte delle persone si sorprende quando apprende che avere una nuova idea non è sufficiente per avere successo. Invece di voler innovare, un processo che richiede un duro lavoro e molte idee, la maggior parte delle persone vorrebbe limitarsi a pensare l’idea. […]
Un modo di ripensare il mito dell’epifania è immaginare di lavorare a un puzzle. Gli ultimi pezzi che si mettono a posto hanno un significato speciale, non perché abbiano un valore intriseco diverso, ma per via della fatica che abbiamo fatto per arrivare alla fine. L’unico motivo per cui hanno più senso dipende solo dal fatto che gli altri pezzi sono già al loro posto. Se disfate il puzzle e ricominciate d’accapo, toccherà ad altre tessere. L’epifania dell’invenzione funziona allo stesso modo: non è la mela o un momento magico che hanno importanza, ma il lavoro fatto prima e dopo.
La sensazione di magia che si prova quando si ha un’intuizione dipende da due motivi. Il primo riguarda il fatto che rappresenta il premio per molte ore (o anni) di investimento. […] Il secondo, invece, dipende dalla circostanza che il lavoro di innovazione non è così predicibile nel risultato come un puzzle e quindi non c’è modo di sapere in anticipo quando arriverà l’intuizione giusta. […]
Ogni innovazione importante può essere vista in questo modo. E’ semplicemente il pezzo finale di un puzzle molto complesso che trova il suo posto. Ma, diversamente da un puzzle, l’universo delle idee ha un numero infinito di combinazioni e quindi gran parte della sfida dell’innovazione dipende dall’abilità nel trovare il problema da risolvere, oltre alla soluzione.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che nessuna innovazione può far a meno delle lunghe ore necessarie a trasformare un’intuizione in una forma utile per il mondo. Lo psicologo ungherese Csikszentmihalyi descrive questa parte dell’innovazione, l’elaborazione di un’idea per renderla funzionante, come l’attività che richiede la maggior parte del tempo e l’impegno più consistente. Uno scienziato non può occuparsi solamente di fare delle scoperte, ma deve fornire un numero sufficiente di evidenze che le validano.
Lo stesso ragionamento vale per chi vuole fare una startup. L’intuizione che può trasformarsi in un’impresa è allo stesso tempo un punto di arrivo e un punto di partenza. Spesso, si arriva all’idea cercando di risolvere un problema e poi occorre trasformare questa idea in un prodotto che la gente vuole acquistare. In entrambi i casi il momento in cui si ha effettivamente l’idea è il passaggio meno importante di tutto il processo.