Seconda intevista di un lungo ciclo di chiacchierate con i fondatori di Internet startup italiane. Oggi tocca a Giuseppe D’Antonio, amministratore delegato di Cascaad e co-fondatore del progetto CircleMe.
CircleMe
Sono entrato in Cascaad come partner un anno e mezzo fa, trasformando una tecnologia ideata da Erik Lumer nel 2008 in un prodotto che è la sostanza di Cascaad, e cioè CircleMe.
Abbiamo lanciato CircleMe lo scorso 4 ottobre alla Start-up Week di Vienna. Si tratta di un ambiente web – che presto diventerà anche mobile – in cui l’utente si collega, a differenza di quanto avviene nei social network, non alle persone ma a dei concetti, come viaggi, cibo, e via di seguito, e riceve contenuti relativi a questi interessi.
Ogni utente, quindi, crea un mondo di attività legate alle passioni personali, scopre eventi legati e si mette in contatto con persone che condividono gli stessi interessi.
La tua storia
Ho frequentato la facoltà di ingegneria dell’Aquila e terminato i miei studi negli Stati Uniti, grazie a una borsa di studio ricevuta da un’azienda privata. Da quel momento in poi, ho trascorso 13 anni all’estero tra Usa, Parigi, Londra, Svizzera e Singapore. La gran parte del tempo però sono stato in America, dove ho iniziato a lavorare subito dopo la laurea per una società che si occupava di tecnologie offline, la Manhattan Associates, come consulente tecnico. Una start-up anch’essa, passata nel tempo da 150 a 3500 persone.
Ho fatto una pausa per un Mba a Parigi e sono rientrato in Italia per diventare responsabile per Google Italy del business developement e delle partnership, soprattutto di AdSense.
Successivamente sono entrato nel management di Dada, e poi, attraverso Innogest, c’è stato l’incontro con Erick e l’inizio della nostra collaborazione.
Cascaad e CircleMe in questo momento
La fase in cui ci troviamo è di pieno start up. Il consumer product è sul mercato da 2 mesi e l’obiettivo è di lavorare sull’aumento del traffico e dell’engagement del singolo utente, per avere la prova che il prodotto sia convincente. Siamo anche molto concentrati sul fattore virale, cioè su quanto CircleMe riesce a crescere in modo naturale, senza che noi applichiamo una spinta.
In questo momento registriamo una crescita su una serie di fattori: unique visitors, page views e time of sight, ma non solo. Esistono dei fattori legati specificamente al prodotto, come i like espressi dagli utenti in un determinato periodo, i suggerimenti o i contenuti visitati. Quando saremo convinti che ci sia molto engagement e che gli utenti tornano spesso sul sito, allora lavoreremo sulla crescita della community.
Le metriche
Fattori come gli unique visitors, gli utenti regisrati o le page views sono utili soprattutto nell’interlocuzione con gli investitori, che hanno bisogno di riferimenti quantitativi. Ma per chi fa start up sarebbe un errore enorme non individuare metriche
dedicate e studiate ad hoc, che sono le uniche in grado di misurare realmente il successo della propria idea. Naturalmente dipende anche dal modello di business: in caso di sistemi standard di monetizzazione tipo banner, le page views hanno senso. Ma se si tratta di prodotti complessi, come CircleMe, diventano importanti il clickthrough, il consumo di contenuti, e le metriche tradizionali sono insufficienti.
Il team
CircleMe è nato all’interno di una struttura già avviata, quella di Cascaad, che era composta da cinque ingegneri. Adesso il team al completo è fatto di undici-dodici persone di cui quattro ingegneri, un esperto di user experience, un marketing manager, due content manager, un community manager e una persona che si occupa della gestione amministrativa ed in parte anche dei contenuti.
Cerchiamo di costruire il team in modo che nuovi candidati conoscano tutti, anche in occasioni informali. È qualcosa che ho imparato da Google, dove il processo di selezione è lunghissimo – io stesso ho fatto dodici o tredici colloqui – e nessuno viene inserito senza che coloro che dovranno collaborarci abbiano avuto la possibilità di conoscerlo. Credo che un capo non possa imporre qualcuno in un team se non c’è un fit anche a livello umano e personale.
Nelle persone che entrano a far parte del mio team cerco prima di tutto una vera passione per il settore, perché in una startup si creano prodotti nuovi ed è di fatto impossibile trovare esperienze consolidate su cose che ancora non esistono. Poi cerco la propensione alla flessibilità, che emerge da come le persone hanno lavorato in passato ma anche da come mostrano di approcciarsi al lavoro.
Incontri e telefonate sono solo una parte del percorso di selezione, ma quello che accade nel frattempo, o dopo, è altrettanto importante. Nel caso di CircleMe, banalmente, un candidato che non si iscrive al servizio magari tra un colloquio e l’altro non dà certo un buon segnale…
Scegliere di diventare imprenditori
Dal punto di vista del business, già quando ho accettato l’offerta di Google, che nel 2005 consideravo – erroneamente – una start up, ero fortemente orientato verso questo tipo di mentalità.
Provai già durante quell’esperienza a lanciare un paio di attività che non si sono concretizzate, ma che mi hanno fatto capire quanto è fondamentale trovare la persona giusta con cui collaborare.
Anche in Dada, pur in una realtà consolidata, mi sono trovato ad affrontare il lancio di una nuova divisione, sostanzialmente una start up che passava da sei/sette persone a un team di diverse decine di collaboratori.
Anche lì ho avuto la prova che si trattava del mio ambiente ideale. E poi c’è stato l’incontro con Erick.
Imparare dai fallimenti… anche a scegliere i soci
Anche quando, come in alcune mie esperienze, c’è un elevato fit umano, i risultati non vengono in assenza di un committment forte. Quando non si è abbastanza motivati o ci si trova nella condizione di voler conservare il proprio posto di lavoro, non si decolla.
Scegliere un socio è una cosa che si impara con l’esperienza. Va costruita la fiducia, soprattutto se si tratta di qualcuno che non si conosce. Ed è importante che le competenze del partner bilancino le tue. Erick, pur avendo una spiccata attitudine di business, ha un profilo tecnico elevatissimo e complementare al mio.
Investire nelle idee degli altri. I business angels in Italia
Se decidi di farlo, non puoi che fidarti totalmente delle idee delle persone e buttarti. In genere il business angel, a differenza dei venture capitalist, è qualcuno che rischia molto e investe senza pensare principalmente al ritorno finanziario. Nel caso di Beintoo, in cui ho investito, conoscevo Antonio Tomarchio personalmente, perché aveva lavorato con me in Dada, e avevamo condiviso molte volte idee legate al nostro settore.
In generale, il rischio che si corre sta nella non prevedibilità di quello che accadrà investendo su un’idea piuttosto che su un business plan.
In Italia tutto questo rappresenta una novità, anche se nell’ultimo anno e mezzo qualcosa è cambiato. Ma da una parte manca l’ecosistema e dall’altra, ci sono meno individui nella condizione di far girare i soldi.
Le strategie per minimizzare il rischio nelle start up
Per lo sviluppo, noi usiamo Scrum. Indirettamente, è probabile che facciamo riferimento anche ad altre teorie, ma non in senso assoluto. Cerchiamo di fare una release tutti i martedì, per due ragioni: ci consente di avere un metronomo dello sviluppo che ci permette di gestire pacchetti più flessibili di eventuali macrorelease; inoltre, una release settimanale offre agli utenti una motivazione in più per
tornare sul sito, aumentando la cosiddetta stickiness, e permette di verificare l’esito del lancio di nuove funzionalità sotto il profilo dell’engagement.
Credo però che se il team continua a crescere, usare Scrum sarà più complesso.
Il funding
Innogest ha finanziato il progetto per un importo di 2 milioni di euro per 3 anni, quindi siamo vicini alla chiusura di questo periodo e da un mese a questa parte stiamo facendo fundraising. Sta andando bene e c’è già un committment importante, quindi pensiamo di chiudere per aprile 2012. Vorremmo ottenere un funding di almeno 3 milioni per poi prenderci 18-20 mesi per validare il modello di business.
Ovviamente, rivolgendosi a investitori istituzionali è necessario dettagliare un business plan mese per mese, fermo restando che per progetti di questo tipo può variare ogni 3 o 6 mesi, così come cambiano i comportamenti degli utenti.
L’approccio agli investitori
Un suggerimento per chi vuole ottenere un funding per una start up è quello di trovare investitori che abbiano intenzione di aiutarti, dispongano di un network esteso e che però non cerchino di entrare troppo nella gestione del progetto. Per CircleMe, Innogest è stata un’ottima fonte di contatti.
In generale, è difficile bussare alla porta di possibili investitori senza conoscere nessuno: anche se indiretta, un’introduzione funziona sempre meglio.
Il futuro
Credo che il concetto di exit non abbia senso. Fai una start up per creare qualcosa che faccia una differenza, e se lo fai seriamente non parti pensando ai soldi facili. Abbiamo creato e lavoriamo su CircleMe perché pensiamo che possa diventare una cosa grande e importante: tra 3 anni spero di essere ancora concentrato su questo prodotto e di verificarne il successo, indipendentemente dal fatto che possa diventare un facebook-like o altro.
Il solo modo per avere una possibilità con una start up è di credere di fare qualcosa di davvero nuovo. Se poi non va, ci hai provato davvero, e non solo per fare soldi.