Penalizzati dalle tasse

E’ un fatto che paghiamo una quantità esorbitante di tasse in gran parte per rimediare l’incapacità di chi mal gestisce e male amministra la cosa pubblica, spesso rubando e truffando la buona fede dei cittadini. Questa constatazione, di per sè frustrante se fatta da cittadino, diventa ancora più frustrante quando si è imprenditori. Come sottolinea un passaggio della biografia di Federico Grom e Guido Martinetti (creatori delle gelaterie Grom):

Siamo in ufficio, seduti in sala riunioni, e per la prima volta analizziamo il bilancio che, in linea con l’andamento stagionale della nostra attività, abbiamo chiuso pochi mesi prima, il 30 di settembre.
Emanuele, il nostro giovane commercialista, è sorpreso dalla crescita aziendale.
Grom sta diventando quella che molti definiscono “una bella storia”. I numeri sono gratificanti: gli investimenti hanno portato ad assumere molte persone in più – siamo ormai a un centinaio – a cui offrire nuove responsabilità e retribuzioni migliori. Abbiamo quasi raddoppiato il fatturato. Siamo pronti, quinto anno di fila, a reinvestire tutti i guadagni: nuovi negozi, assunzioni e così via.
Un circolo virtuoso.
Eppure, quando arriviamo a leggere l’utile, i miei occhi si fanno prima sorridenti, poi lucidi.
Ema ci legge l’utile lordo; è molto buono: 251 mila euro. E’ una cifra che non avrei mai sognato di raggiungere pochi anni prima. Ho trentatré anni, quattro anni fa ho aperto una gelateria in venticinque metri quadrati: quel numero mi sembra incredibile.
Poi Ema ci legge l’utile netto, ciò che rimano dopo aver pagato le tasse (Ires e Irap); è di 102 mila euro. Paghiamo 149 mila euro di tasse, il 59,4%.
«Cacchio, Ema, ma noi reinvestiamo tutto, creiamo occupazione!» dico concitato, quasi alzando la voce, al mio commercialista. Fede, gomiti sul tavolo e mani nei capelli, mi guarda anch’egli sconsolato.
Mi alzo e proseguo infervorato: «Ci indebitiamo per fare nuovi investimenti. Potremmo metterci i soldi in tasca, invece ogni anno prendiamo nuovi rischi, assumiamo pure un casino di gente!» Sembra quasi che lo stia pregando di dirmi che quel numero non è vero.
59,4%, non può essere vero.
E’ vero.
Scopro, mi dice Emanuele, che la musica è quella: più assumiamo, più ci indebitiamo, più l’Irap è alta. Più creiamo occupazione, più rischiamo, più elevate sono le tasse che paghiamo.
Mi sento usato dal mio paese.
Piango.

4 Responses

  1. Purtroppo e’ la realta’ , per questo molte azziende migrono la sede in lussemburgo o in germania , meno del 27% di tasse

  2. Nicola quella descritta nel tuo post è una situazione kafkiana e aberrante.
    Specialmente se consideriamo, a fronte degli insostenibili sacrifici che questo stato SOVRANO chiede a noi SUDDITI, quanto NON sta facendo sui conti pubblici.
    Un dato: il nostro SOVRANO presenta come gran cosa tagliare 4 miliardi su 700 di spesa pubblica corrente cioè lo 0,57%, quando decine di migliaia di imprese italiane devono affrontare turnaround in cui si taglia anche il 25 o il 30% di costi da un anno all’altro.
    E’ arrivato il momento di denunciare a voce sempre più alta queste sconcezze, specialmente da parte di chi, come te, vuole contribuire fattivamente allo sviluppo (ma oramai sarebbe più corretto parlare di salvataggio) del paese.
    Buon lavoro.

  3. L’IRAP è sbagliata (nel metodo utilizzata per calcolarla).

    Ecco cosa ho scritto tempo fa in un post con 5 proposte per la crescita:
    http://www.prossimaimpronta.it/5-idee-per-la-crescita-economica-dellitalia.html

    “L’IRAP invece colpisce le aziende che danno lavoro. Puro e semplice conto della serva: per un dipendente che costa all’azienda 30′000 euro all’annno, l’azienda paga ulteriori 1200 euro a prescindere dall’andamento economico dell’azienda. Anche qui, forse non ne se può fare a meno ma si può cercare di ridurla il più possibile.”