Chi ha paura di Matteo Renzi: la grande occasione mancata delle primarie

Alle primarie, ho votato per Renzi e continuerò a votare per Renzi al ballottaggio. Il perché lo dice bene Simone Brunozzi e io lo condivido (Perché Renzi, perché adesso).

A quello che dice Simone, aggiungo che voto per Renzi perché queste sono le prime primarie vere del Pd, quelle in cui c’è un contendente vero che può sfidare il segretario. Non sono come le altre, che invece erano fatte per incoronare un candidato già scelto, semplicemente perché Renzi non sta correndo per pesare la sua influenza e poi incassare in termini di deputati e ministeri, ma per vincere ed essere il candidato premier del centro sinistra.

E proprio questa decisione di Renzi ha creato un problema enorme nella dirigenza del Pd, che vede tutto un apparato messo in discussione. E con lui la strategia del fortino (come la chiama Ruffini in questo post), ossia quell’idea per cui il Partito Democratico si assesta sul 30% di voti più o meno sicuri e tranquilli (il fortino) e poi si accorda con le forze di centro (ossia l’impresentabile Casini) per governare. L’ipotesi che si possa allargare l’elettorato fa semplicemente paura e – in fin dei conti – non è nel Dna di questa classe dirigente imbolsita che si ispira esplicitamente al vetusto modello del compromesso storico e del consociativismo. Un modello assai comodo, diciamo la verità, perché permette di non assumersi troppe responsabilità visto che il risultato si può far dipendere dalla volontà degli altri partecipanti alla colazione (o forse sarebbe meglio dire consorteria). Se non si riesce è colpa dell’altro, se si riesce è merito nostro.

In questo contesto, è ovvio che le regole delle primarie prevedano la formazione di un corpo elettorale a priori. Ossia, alle primarie del centro sinistra votano solamente gli elettori del centro sinistra che hanno dichiarato a priori la propria volontà di votare. I fedelissimi, i militanti, quelli che si schierano comunque.

E così facendo si perde una grandissima opportunità: si espellono dalle primarie gli elettori che non hanno convinzioni politiche così radicate, che non si etichettano di sinistra, ma che simpatizzano per le idee progressiste, quelli che protestano e che prenderebbero effettivamente in considerazione l’idea di votare per il Partito Democratico e per la coalizione. Ma che non vogliono mettersi addosso la spilletta di elettore del Partito Democratico. Queste primarie che dovrebbero essere di coalizione, in realtà sono diventate delle primarie di un solo partito.

Una coalizione che avesse voluto presentarsi coesa e pronta a governare l’Italia avrebbe dovuto creare un albo degli elettori, ma allo stesso tempo avrebbe dovuto lasciare aperta la possibilità di iscriversi anche al ballottaggio fino all’ultimo minuto utile dell’ultimo giorno. Perché il primo turno può effettivamente essere considerato una questione per gli elettori più convinti, ma il secondo turno ha un altro ruolo ed è quello di cominciare a costruire un vero consenso attorno al candidato premier della coalizione. Tra il primo e il secondo turno c’è la maggiore esposizione mediatica, ci sono i confronti testa a testa, la sfida si fa emozionante e le visioni in campo sono due invece di cinque. In questa fase, le primarie conquistano allo schieramento gli elettori indecisi che concretizzano una intenzione di voto.

Ma tutto questo fa paura all’establishment del Partito Democratico, arroccato nel fortino a difendere le rendite di posizione, le aspettative di quelli che hanno fatto la gavetta e stanno piano piano salendo la china della dirigenza per assicurarsi una poltroncina o uno strapuntino. Tutto quel mastodontico apparato di partito che si ramifica poi nelle istituzioni. E quindi le primarie di coalizione, diventano le primarie interne del Partito Democratico ed occorre definire un perimetro entro il quale non vi siano troppe turbolenze, in cui il dissenso possa essere ospitato ma contenuto. Un perimetro in cui il nuovo entrante non faccia troppo danno, possa essere limitato, bastonato e poi messo in riga.

Beh, io sinceramente mi rifiuto di aderire a questo schema della difesa del fortino e dello status quo. E rifiuto di aderire a un modello di primarie il cui unico obiettivo è incoronare un candidato già scelto e di permettere alle altre forze in campo di stabilire un parametro sulla base del quale distribuire le candidature.

Per questo motivo, domenica tornerò a votare per Matteo Renzi augurandomi che porti più scompiglio possibile nella sinistra italiana e nel Partito Democratico e che il big bang produca una nuova classe dirigente più al passo con i tempi. Non un rinnovamento come vorrebbe Bersani, ma un cambiamento che ci faccia uscire dalle secche in cui l’attuale classe dirigente ci ha condotto.

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