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Perché ho deciso che non farò il gelataio e cinque lezioni che ho imparato sperimentando

Sbucciare, tagliuzzare, soffriggere, saltare, stufare, bollire, scolare. La cucina mi rilassa e mi manca quando non riesco a trovare il tempo per andare a caccia di ingredienti, chiacchierare con artigiani e commercianti, individuare ricette da provare, sperimentare nuove tecniche di cottura. Senza sottovalutare la soddisfazione di osservare qualcuno che mangia con piacere quello che hai preparato.
Perché non faccio un mestiere legato al cibo? I casi della vita, però ogni tanto mi viene voglia di mollare quello che ho fatto negli ultimi venti anni e fare l’oste, oppure andare in giro con un food track. Poi rinsavisco, ma il tarlo rimane lì e ogni tanto si ripresenta con strane idee. Per esempio, nel 2014 fa ho cominciato a pensare che non mi sarebbe dispiaciuto fare il gelato. All’inizio non avevo ben chiaro se questa aspirazione si dovesse tradurre nell’aprire una gelateria o meno. Quindi ho semplicemente iniziato ad avvicinarmi all’argomento e, in due anni, ho fatto una serie di esperienze che mi hanno insegnato alcune cose sul gelato e sull’avviare un business legato alla produzione di cibo.

Ho cominciato con un corso amatoriale tenuto da Marco Radicioni, la cui bravura a spiegare è inversamente proporzionale alla maestria artigianale. Non soddisfatto della lezione, da cui avevo capito ben poco sia sulla teoria che sulla pratica, ho comprato un po’ di manuali per imparare a bilanciare gli ingredienti di una miscela. Ho cominciato a sperimentare, ho costruito un foglio Excel per creare le ricette e, piano piano, ho imparato a usare gli ingredienti più tecnici. Dopo aver buttato diversi chili di gelato venuto male, sono arrivato a risultati più che soddisfacenti.

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Prima lezione appresa: fare il gelato è facile; farlo veramente buono è un’altra cosa. Le ricette per fare il gelato non sono certamente un segreto; basta cercare su Internet e comprare un paio di libri. Una volta capiti i principi, bisogna solo decidere l’obiettivo in termini di gusto, consistenza, elasticità e fare un po’ di prove, sapendo che il risultato non è sempre scontato, perché gli ingredienti interagiscono nella miscela. Così, per esempio, se metti il cioccolato, devi tenere conto che ha una certa percentuale di grasso (burro di cacao) e quindi serve meno panna. Allo stesso tempo, però, burro di cacao e panna hanno caratteristiche diverse e influenzano il risultato finale in termini di densità e texture. E via di seguito.
Ma, allora, che cosa fa la differenza tra un grande gelato come quello di Otaleg (che rimane probabilmente la mia gelateria preferita) e il gelato di una gelateria qualsiasi? Direi essenzialmente due cose: la prima è il fatto che il 99% delle gelaterie ha ben poco di artigianale. Per comodità, velocità e omogeneità del risultato, quasi tutti usano polveri e paste industriali (le cosiddette basi). Le peggiori sono più facili da riconoscere perché i colori sono stracarichi, le vaschette strasbordano e sono piene di decorazioni improbabili. Quel gelato è un prodotto semi-industriale abbastanza standardizzato. Ma, poiché viene mescolato e congelato in negozio, si può fregiare della dicitura “gelato artigianale”. La musica cambia quando cominciate a usare i migliori ingredienti per la pasticceria, come i cioccolati di Domori o di Valhrona, la frutta secca di Agrimontana e via dicendo. Altri gusti, altri aromi e sfumature. E anche altri costi per il gelataio.
La seconda cosa è la presenza di un vero artigiano, ossia di qualcuno che non si limita ad aprire buste, mischiarle con il latte e mettere il tutto nel mantecatore. Il vero artigiano conosce gli ingredienti, cerca quelli migliori, inventa gusti originali, non si sognerebbe mai di mettere sul banco il gusto Puffo. Prendete, per esempio le aromatiche preparazioni della Gourmandise a Monteverde Vecchio o di Settimo Gelo a Prati. Non si trovano da nessun’altra parte. E questo è il bello.
Ad ogni modo, alla fine, tra manuali e chiacchiere con gelatai, penso di sapere come costruire una ricetta ben bilanciata e preparare un buon gelato. E qui ho appreso una seconda lezione: non esiste il gelato buono per tutti. È una cosa ovvia, che tendiamo a dimenticare, ma i gusti sono soggettivi e dipendono da tante cose, prime tra tutte la memoria e le abitudini. Mi è capitato di sentire commenti come: «questo cioccolato sa troppo di cioccolato» oppure «questo fiordilatte sa troppo di latte» (sic!); «buono ma preferisco il gelato di [nome di gelateria dove non comprereste neanche le cialde]»; «ma quanto marsala ci hanno messo in questo zabaione». Non si può accontentare tutti.

Dopo aver imparato a fare il gelato, mi sono chiesto: come faccio a costruire un business sul gelato? Non potevo aprire una gelateria perché avevo appena lanciato Stamplay, ma avevo comunque voglia di fare un esperimento. Un minimum viable product, per usare il gergo delle startup. Nell’estate di due anni fa, cominciavano a diventare popolari i servizi di consegna a domicilio ed era appena nata Moovenda. Allora, convinsi Otaleg a fare una prova: confezionare il gelato in pinte da mezzo chilo e metterlo in vendita sul marketplace della startup. Fu un disastro.
Il modello di business dei servizi di delivery come Moovenda o Deliveroo guadagnano in due modi: prendono una quota del 20-25% dal negozio e un paio di euro dal consumatore per il servizio di consegna. La quota percentuale serve a coprire gran parte del costo della consegna e, soprattutto, i costi di marketing. Queste startup, infatti, non si limitano a organizzare la consegna, ma promuovono i prodotti che hanno sul marketplace per assicurarsi un livello sostenuto di vendite: in questo modo diventano un vero e proprio nuovo canale di commercializzazione per il ristorante.
Pensavo che delegare il marketing a Moovenda ci avrebbe permesso di fare un buon test di vendita. Ma non fu così: la startup era appena partita ed era più impegnata a cercare di raccogliere fondi che a costruire una macchina da guerra delle vendite. A volte, i fattorini si presentavano al negozio senza contenitore termico, con il risultato che il gelato arrivava a destinazione squagliato. Insomma, nel giro di un paio di settimane, tra vendite insufficienti e servizio di consegna tutto da migliorare, decidemmo di abbandonare l’esperimento.

Terza lezione appresa: non delegare ad altri l’esecuzione della tua ipotesi più rischiosa. Nel nostro caso, l’ipotesi che dovevamo testare era che le persone avrebbero voluto il gelato a domicilio e sarebbero state disposte a pagare un prezzo più alto per avere quello di Otaleg (che da tre anni sta in testa a tutte le classifiche italiane delle migliori gelaterie artigianali). Ovviamente, non avendo in mano le leve del marketing, dall’investimento in adv su Facebook, fino alla presentazione del prodotto sul sito di Moovenda, non avevamo modo di controllare nessuno dei parametri rilevanti per capire l’andamento dell’esperimento.

Pausa di riflessione di un anno. Nel frattempo ho continuato a fare il gelato per la famiglia e per gli amici 🙂

A luglio 2015, Stamplay entra nel programma di accelerazione di 500 startups a San Francisco. All’inizio di agosto arrivo in California insieme agli altri ragazzi del team e mi ritorna il pallino di sperimentare con il gelato, facendo leva su un mercato delle delivery a domicilio molto più sviluppato che nel resto del mondo. Occorre capire se gli americani apprezzano un buon gelato italiano. Infatti, negli Stati Uniti si mangia un prodotto che ha il doppio del grasso e degli zuccheri. Tanto è vero che ice cream e gelato sono considerati due prodotti diversi.
Riecco il tarlo che si ripresenta: nel giro di un paio di giorni, compro una gelatiera su Amazon, vado da WholeFoods e Rainbow Grocery a comprare ingredienti bio, trovo il cioccolato di Valrhona. Mi avventuro anche nell’acquisto di qualche prodotto pseudo italiano come una orrenda ricotta fatta nella Sonoma Valley.
Passo tutto il giorno nel co-working di 500 startups e, la sera, mi metto ai fornelli. Dopo qualche giorno prendo confidenza con la gelatiera e riesco a produrre anche 6 chili di gelato in una serata: crema pasticcera, fiordilatte al cardamomo, cioccolato fondente e al latte, cannella e uvetta, miele. Azzardo anche qualche sorbetto.
La prima uscita pubblica è un meet up di Baia: agli italiani il mio gelato piace, ma questo lo sapevo già. Poi lo porto nel co-working di 500 startups, Francesco Sullo e Sara Rosso mi aiutano a organizzare delle degustazioni nei loro uffici. I risultati sono diversi: alcuni gusti hanno molto successo, altri meno. Gli orientali sembrano apprezzare il gusto più delicato del gelato italiano, rispetto agli americani.

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Metto in piedi anche una landing page per raccogliere dei lead, ma senza grande successo. La maggior parte del mio tempo è comunque riservato a Stamplay, perché al gelato posso dedicare solo qualche ora la sera.
Quarta lezione appresa: se volete fare un minimum viable product, calcolate bene quanto tempo vi serve per ottenere risultati rilevanti. In altri termini, l’esperimento americano è stato una completa perdita di tempo e avrei fatto meglio a dedicare quelle ore spese a mantecare miscele a rilassarmi, studiare e trovare occasioni per socializzare con gli altri imprenditori del batch e con il team di 500 startups. Finché giocate con delle idee, studiate e approfondite, va benissimo dedicare qualche scampolo di tempo, come se fosse un hobby. Ma quando è il momento di capire se un’idea di business sta in piedi, allora dovete decidere chiaramente quanto tempo e quante risorse dovete e potete investire e qual è il risultato che volete raggiungere.

Le settimane a San Francisco sono state anche l’occasione per confrontarmi con Simone Brunozzi e Armando Biondi, con i quali abbiamo discusso più volte su come testare l’idea del gelato. Il loro approccio era molto guascone con idee del tipo: la settimana prossima c’è il demo day di Y-Combinator, prendiamo un food truck e portiamo 200 chili di gelato, nel giro di mezza giornata facciamo fund raising. Oppure, questo weekend dovresti andare a Dolores Park, regalare il gelato e fare lead generation per vedere se il servizio in abbonamento ha traction. Fortunatamente, non gli ho dato retta 🙂 L’approccio di Simone e Armando va benissimo per i servizi digitali, ma non può funzionare per la produzione di cibo, perché è un settore regolamentato e fare le cose non rispettando le regole significa commettere dei reati. Per esempio, ho scoperto che produrre il gelato in California è molto più complicato che in Italia, perché le regole sul trattamento del latte sono assai più severe di quelle dell’Unione Europea.
Quinta lezione appresa: avviare un food startup ha una barriera all’ingresso molto più alta rispetto a costruire un servizio online, perché richiede attrezzature fisiche, autorizzazioni e il rispetto di regole sanitarie.

All’inizio di settembre dell’anno scorso, rimpacchetto la gelatiera, la restituisco ad Amazon e torno in Italia. La stagione dei gelati si sta esaurendo e io ho Stamplay da seguire, quindi parcheggio nuovamente il progetto. A marzo del 2016, il tarlo torna a bussare nel mio cervello. In Italia, i servizi di delivery a domicilio continuano a guadagnare terreno e a Roma arriva Deliveroo. Forse è il caso di riprovarci, quindi torno da Otaleg e lo convinco a fare un nuovo esperimento. Avendo fatto tesoro dell’esperienza del 2014, decido di prendere in mano in prima persona l’attività di go-to-market e coinvolgo i ragazzi di Studio Place. Insieme, realizziamo una brand identity, un video e un servizio fotografico. Questa volta il gelato si chiama Gusti.

I materiali sono di buona qualità e siamo quasi pronti per partire, ma ormai siamo in alta stagione e mi rendo conto che Marco Radicioni viaggia già a ritmi molto sostenuti per produrre il gelato da mettere sul banco del suo negozio e, in più, deve seguire l’apertura di una gelateria con il marchio Il Gelato del Marchese in Costa Azzurra. Decido che non ho voglia di rischiare e investire ulteriori risorse ed è buffo perché questa volta sono pronto con il marketing, ma non penso che la produzione riuscirà a stare al passo nel momento in cui le vendite dovessero avere successo.

Quest’estate, quindi, ho deciso di mettere un punto all’idea del gelato e di fare una riflessione su quest’esperienza e su cosa mi ha insegnato. Il gelato rimarrà probabilmente un hobby: ho portato la gelatiera in ufficio al Talent Garden di Roma, quindi se volete provare qualche gusto bizzarro sapete dove andare. In più, cercherò di trovare il tempo per fare un piccolo video corso così chiunque ne abbia voglia potrà cimentarsi con la preparazione di un gelato buono come quello che potete trovare nelle migliori gelaterie artigianali italiane.